Alessia Piperno è una blogger che scrive di viaggi di trenta anni di età molto conosciuta. Viene da Roma ed è scomparsa in Iran circa quattro settimane fa. E’ una viaggiatrice esperta e rispettosa. E’ stata arrestata a Teheran. Lo ha annunciato il padre Alberto in un post su Facebook. I motivi dell’arresto sarebbero misteriosi.



Alessia si trovava da luglio in Iran e prima di sparire aveva scritto un post molto evocativo, “Bella ciao”, dove sosteneva apertamente la dissidenza contro il regime teocratico iraniano dopo i moti di piazza scatenatisi dalla morte in carcere della ragazza curda Mahsa Amini.
Al telefono pare che Alessia abbia detto al padre di essere stata arrestata dopo aver festeggiato il suo compleanno con amici a Teheran. L’ ipotesi, facile da formulare, è che sia stata arrestata per aver simpatizzato con le proteste anti regime.In un suo post scriveva: “Non riesco ad andarmene da qui, ora più che mai. Sono parte di tutto questo”.



Al momento non si registrano reazioni ufficiali in Italia. In diverse città, per mostrare solidarietà al popolo iraniano, qualcuna si taglia una ciocca di capelli. Femministe educate ed equilibrate manifestano con pudore. Enrico Letta con il suo partito ha inscenato una sterile manifestazione davanti all’ambasciata iraniana a Roma, c’erano quattro gatti.

Chiaro invece l’anatema lanciato dal rappresentante del governo iraniano Nasser Kassani: “L’Iran è un paese sicuro per i viaggiatori stranieri, però tutti devono rispettare le nostre regole”. Pesante la reazione degli ayatollah verso i manifestanti. In queste settimane, in cui la protesta si è allargata in tutto il paese, le forze governative hanno fatto centinaia di morti. Gli studenti iraniani, figli colti di un paese fermo alla teocrazia, stanno cercando di spezzare le catene di un regime medievale. Il velo mal indossato ha causato la morte di Masha Amini il 16 settembre, dopo l’arresto dalla polizia morale, guardiana dei canoni dell’abbigliamento delle donne iraniane.



La guida suprema iraniana è l’ayatollah Ali Kamenei, classe 1939, allievo dell’ayatollah Ruhollah Khomeini, è l’ultimo residuo della rivoluzione islamica del 1979. Secondo il Word Economic Forum per il 2022, l’Iran governato dall’ayatollah Ali Khamenei e dal presidente ultraconservatore Ebrahim Raisi si trova alla 143ª posizione per il rispetto della parità di genere. Famoso per le sue posizioni anti-occidentali, Khamenei pare che abbia subìto un intervento chirurgico per un tumore alla prostata in settembre. Dal 3 ottobre non fa sentire la sua voce in pubblico tanto che sul web si stanno susseguendo voci non ufficiali sulla sua morte. Notizie non controllate e non controllabili, visto lo stretto riserbo del regime teocratico iraniano. Nel suo primo ed ultimo messaggio Khamenei ha definito la morte di Masha Amini, come un “triste incidente” e ha additato le rivoltose come “serve di Israele e dell’America”, esortando a non fidarsi di chi urla dalla parte sbagliata.

Ali Khamenei ha anche accennato a disordini non organizzati da “iraniani comuni”, ma “orchestrati” da Stati Uniti e Israele. Questi moti di piazza non sono i primi in Iran. E anche se la dura repressione del regime riuscirà a sedare le folle, è difficile pensare che siano gli ultimi.

Khamenei tuttavia ha ben saldo in mano il potere religioso, politico e militare e la rivolta non ha leadership. Se la guida suprema è ancora in vita, non ci sarà una nuova rivoluzione. Queste proteste sono trasversali e generalizzate in tutti gli strati sociali molto più che in tutte quelle degli anni passati e puntano a smantellare il sistema teocratico. Ma la rivolta, dicevamo, non ha leadership, e anche se in futuro porterà dei frutti di libertà al momento le possibilità di successo sono minime.

Finora le donne hanno protestato contro il velo, oggi lo fanno per abbattere il regime teocratico. Masha Amini è stata solo la prima di cui sappiamo. In Iran anche adesso studenti di ogni grado lottano e muoiono, per abbattere l’oppressione religiosa simboleggiata dal velo. I giovani iraniani cresciuti fuori del controllo del regime grazie ai social media e al web trovano insopportabili e oppressive le restrizioni sociali del regime teocratico.

Ma la sorte di Alessia e delle ragazze iraniane stranamente non coinvolge. Le immagini delle sommosse e il rumore degli spari nelle città iraniane non arrivano ai nostri cuori. E come se non sapessimo da che parte stare. Come se non sapessimo discriminare le vittime dai carnefici. Dentro di noi è come se stessimo elaborando quello che accade in Iran, e per qualche misterioso motivo non siamo coinvolti. Non ci interessa più di tanto. Se non sono anti-occidentali, la protesta e la causa non meritano.

Ma potrebbe esserci di peggio, nell’arcipelago femminista. Di fronte ai diritti delle donne non si riesce a focalizzare i fatti. Tutto deve essere relativizzato e contestualizzato. Tutto può essere negoziato. Ogni costrizione, ogni sopraffazione è uguale, non c’è differenza né graduazione.

Non si può stigmatizzare un regime misogino se rischiamo di coinvolgere ad esempio la religione islamica. Qualcuno dice che la lotta contro l’hijab e quello che rappresenta potrebbe provocare l’islamofobia. In ogni atteggiamento emerge un dubbio. Qualcuno giunge a formulare l’assurdo parallelo tra i problemi sulle pari opportunità delle donne occidentali alle lotte di morte e libertà delle donne iraniane.

I tempi di Girolamo Savonarola e dei suoi “falò delle vanità” per noi sono passati. Quel rogo del 1498 in Piazza della Signoria ci pare lontano e dovrebbe essere così per tutta l’umanità. Forse la storia non si fa più nella vecchia Europa, ma speriamo che per il resto del mondo non servano altri cinquecento anni.

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