Mentre si allarga la protesta popolare contro il regime degli ayatollah, in Iran esce allo scoperto anche l’Isis. Il gruppo terrorista sunnita ha rivendicato sul suo canale Telegram l’attentato, che ha causato almeno 15 morti, contro uno dei luoghi di culto più sacri per i fedeli iraniani, il mausoleo di Shah Cheragh di Shiraz, nel sud del Paese.
Come ci ha spiegato in questa intervista Marco Lombardi, docente di sociologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano ed esperto di terrorismo,“non dobbiamo mai dimenticare che il terrorismo jihadista nasce come guerra fra le due correnti dell’islam, quella sunnita e quella sciita, e così continua a essere. Questo mausoleo era già stato colpito da un attentato nel 2008 ed è evidentemente un simbolo importante per chi combatte l’islam sciita al potere in Iran”. Il terrorismo, ci ha detto ancora Lombardi, “alza sempre la testa nei paesi in cui è in corso un sovvertimento: è successo durante il colpo di stato in Mauritania, in Mali e durante le Primavere arabe”.
E’ sempre difficile capire cosa succeda esattamente quando c’è di mezzo lo jihadismo. In questo caso sembrerebbe un attentato dell’Isis, che evidentemente sarebbe ancora attivo e in grado di colpire. Ma perché in Iran e perché proprio adesso?
Ci sono diverse ipotesi su quello che è successo in un paese che ormai è diventato un grande buco nero. Questo mausoleo era già stato oggetto di un attentato nel 2008 proprio per l’importanza che riveste per i fedeli sciiti. L’attacco è stato rivendicato da Amaq, l’agenzia ufficiale di comunicazione dell’Isis, quindi la fonte è credibile. E’ anche vero che è già successo in passato che l’Isis si appropriasse in modo opportunistico di eventi non effettuati da loro, ma da altri.
Chi, in questo caso?
C’è chi parla di un “false flag”, una operazione sotto falsa bandiera, come si dice in gergo, un auto-attentato organizzato dal governo iraniano per creare, in questo momento di grande crisi, un diversivo, creando un nemico esterno su cui concentrare l’attenzione. Dobbiamo però ricordare che il terrorismo islamista nasce come scontro tra sunniti e sciiti e prosegue in questo modo. Per questo ritengo che l’interpretazione del false flag sia una interpretazione data in modo interessato da chi sottolinea le problematiche del governo. Accusare il governo di aver organizzato questa strage ritengo sia una idea che nasca all’interno di ambienti che sono interessati a delegittimare il governo iraniano stesso.
C’è però da chiedersi a chi giova un attentato di questo tipo in questo momento, non crede?</b
Esatto. Se questo attentato non fosse opera dell’Isis, all’Isis avrebbe fatto forse più comodo non attribuirselo. Per combattere il governo sciita era più utile dire che non lo hanno realizzato loro e cavalcare l’idea del false flag. Politicamente avrebbero avuto più vantaggi. Siamo da sempre abituati al fatto che il terrorismo è opportunista. Ogni volta che c’è una crisi il terrorismo si riorganizza. Lo abbiamo visto durante il colpo di stato in Mauritania, nel Mali, durante le Primavere arabe. Ovunque il sistema entra in crisi, lì il terrorismo comincia a mobilitarsi per cogliere l’occasione.
Tutto questo avviene in mezzo a una rivoluzione destabilizzante: la protesta contro gli ayatollah si allarga a diversi strati sociali e sembra non finire. Come giudica il quadro complessivo dell’Iran?
E’ assolutamente inusuale quello che sta accadendo. In passato ci sono state proteste che non si sono infiammate rapidamente come queste, non sono durate così tanto a fronte di una repressione ugualmente violenta. Possiamo dire che oggi il livello di repressione non è cambiato, ma è cambiata la durata delle proteste. Sta perdurando a lungo, si stanno estendendo geograficamente e socialmente. Sembrerebbe quasi che si sia superato il livello di guardia per il governo. E ci piacerebbe poter dire che si è superato fino a essere prossimi alla eliminazione del regime degli ayatollah.
C’è chi dice che la Russia sia coinvolta nella repressione con reparti speciali in cambio dei droni inviati da Teheran e usati in Ucraina, cosa ne pensa?
Non credo. Un coinvolgimento in termini di mentoring potrebbe esserci, ma i russi in questo momento non sono in grado di occuparsi di più fronti. E non credo neanche che gli iraniani avrebbero piacere ad avere una presenza straniera sul terreno, essendo un regime chiuso al fine di tutelarsi e per forte orgoglio.
L’Occidente, a livello politico, sembra quasi voglia lasciare l’Iran al suo destino, a parte le dichiarazioni di rito. È così?
Siamo sempre stati ambigui con l’Iran. Abbiamo criticato il regime, ma concluso grandi affari con loro. La realtà iraniana non è così dicotomica, non si può facilmente dire che tutti i buoni sono da una parte e tutti i cattivi dall’altra. L’Iran è una realtà unica per struttura sociale, culturale e politica. E’ difficile usare una prassi di relazioni standard con loro. Ricordiamo poi che ci sono aperti tanti file: noi italiani abbiamo con loro un rapporto commerciale importantissimo. C’è poi a livello globale il nodo del nucleare e altro ancora.
Quindi? Cosa aspettarsi?
Non mi aspetto si possa andare oltre alle manifestazioni di piazza. Nessun paese occidentale in questo momento storico può permettersi di fare di più. Si potrebbero tentare delle operazioni coperte, garantire informazione e anche armi a chi scende in piazza in Iran per spingere questa possibile rivoluzione. Ma sempre con attenzione politica, avendo ben chiaro quale sarà il prossimo governo, altrimenti meglio non muoversi. Un altro Saddam, un altro Gheddafi nessuno può permetterselo. Non possiamo tagliare una testa per trovarci poi con un altro dittatore al suo posto.
(Paolo Vites)
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