In una situazione interna sempre più tesa, l’Iraq si sta avviando al terzo tentativo di formare un governo dopo le dimissioni, nello scorso dicembre, del primo ministro Adel Abdul Mahdi. Le dimissioni erano state causate da estese dimostrazioni popolari in tutto il Paese, ma soprattutto nel Sud sciita, che erano state violentemente represse con centinaia di morti. La repressione era stata condotta dalle forze di sicurezza irachene, ma anche da milizie sciite, particolarmente legate all’Iran. Le proteste, soprattutto da parte dei giovani, erano dirette contro la diffusa corruzione e finalizzate ad ottenere ampie riforme dell’attuale sistema, fondato su una divisione del potere in base alle differenziazioni religiose ed etniche, sul modello libanese.
A febbraio, il presidente Barham Salih aveva effettuato un primo tentativo conferendo l’incarico a Mohammed Allawi, già ministro delle Comunicazioni, ma costui, nonostante le sue promesse di rinnovamento, era stato contestato dai dimostranti in quanto rappresentante dell’establishment. Dopo che le sue proposte erano state bocciate per due volte in Parlamento, all’inizio di marzo Allawi ha dato le dimissioni e l’incarico è passato a Adnan al-Zurfi, che era stato incarcerato da Saddam Hussein, e poi, dopo la sua caduta, insediato come governatore di Najaf, una delle città sante degli sciiti iracheni. Il 9 aprile, al-Zurfi ha rinunciato all’incarico, a causa dei veti incrociati dei vari partiti, considerato da alcuni troppo sciita e da altri troppo americano. In effetti, al-Zurfi ha anche la cittadinanza degli Stati Uniti, dove si era rifugiato dopo la fuga dal carcere nel 1991.
Alle già notevoli divisioni interne, politiche, religiose ed etniche, si aggiungono interferenze esterne pesanti, alle quali si oppone un numero sempre maggiore di iracheni. In primo luogo vi è l’Iran, la cui influenza è particolare tra gli sciiti, il gruppo maggioritario nel Paese, ma rimane un fattore di divisione al suo interno. Una buona parte, infatti, degli sciiti iracheni rifiuta il “protettorato” di Teheran, posizione condivisa dalla loro più alta autorità religiosa, il Grande Ayatollah al-Sistani.
Contemporaneamente è cresciuta anche l’avversione alle interferenze degli Stati Uniti che, da liberatori dalla dittatura di Hussein, sono diventati dei “padrini” considerati più attenti ai propri interessi che a quelli iracheni. L’assassinio del generale iraniano Soleimani da parte degli americani in territorio iracheno, insieme al capo di una milizia irachena filo iraniana, ma parte delle forze di sicurezza nazionali, è stata considerata una violazione della sovranità dell’Iraq. Da allora sono aumentate le richieste di ritiro dei militari statunitensi e gli inviti agli Stati Uniti a risolvere il loro conflitto con l’Iran fuori dell’Iraq e non a spese del suo popolo.
La già difficile situazione economica del Paese si è ultimamente aggravata con il calo del prezzo del petrolio e deve ora affrontare la diffusione del coronavirus, che mette a repentaglio il suo debole sistema sanitario. Inoltre, in conseguenza della pandemia è iniziato il ritiro di militari, italiani compresi, dalla coalizione internazionale per la lotta contro l’Isis. I fondamentalisti hanno subito approfittato della situazione per tentare di riconquistare territorio, in particolare ai confini con la Siria. Sono così ripresi i combattimenti contro l’Isis, come in questi ultimi giorni nella zona di Kirkuk, rinfocolando altresì le polemiche sulla delibera del Parlamento che chiedeva il ritiro di tutti i militari stranieri dall’Iraq. Questa decisione era stata contestata da una parte dei sunniti e dei curdi proprio per il rischio di una ripresa dell’offensiva dell’Isis.
È questo il quadro in cui si trova ad operare il terzo designato a formare il governo: Mustafa al-Kadhimi, finora capo dell’intelligence irachena. A quanto risulta dalle prime reazioni, il nuovo candidato potrebbe contare su un appoggio delle forze politiche più vasto di quello dei suoi predecessori e, all’esterno, sempre usando il condizionale, di un via libera anche da parte sia di Washington che di Teheran.
Tuttavia, quanto meno sulla base di interviste riportate da Al Jazeera, in quanto uomo del sistema, al-Kadhimi non ha l’appoggio degli iracheni che hanno manifestato nelle piazze e che tuttora le presidiano. C’è da sperare che ciò non significhi la riapertura di altre tragiche pagine nel già tragico scenario iracheno.