Violenti scontri hanno causato oltre 30 morti e centinaia di feriti a Baghdad, dove si è assistito all’assalto del Parlamento. In Iraq da quasi un anno non si riesce a formare un governo, nonostante la vittoria alle ultime elezioni, nell’ottobre 2021, del leader sciita Moqtada al-Sadr, appartenente a una delle famiglie di maggior spicco del Paese, il cui padre e il cui suocero vennero uccisi dalla repressione di Saddam Hussein. Il suo partito non ha ottenuto la maggioranza in Parlamento a causa dei forti contrasti con l’ala sciita filo-iraniana. Due giorni fa al-Sadr ha annunciato di volersi ritirare dalla vita politica e questo ha scatenato la discesa in piazza dei suoi sostenitori, che si sono scontrati con i filo-iraniani: “In Iraq, ma un po’ in tutto lo scenario mediorientale, stiamo assistendo al fallimento del concetto stesso di Stato. Ogni nazione ha la sua peculiarità, ma se guardiamo al Libano, alla Siria, allo Yemen e allo stesso Iraq vediamo che nessuno riesce a imporsi, non esistono leader, solo un frazionamento in bande armate, in tribù che si scontrano tra loro” ci ha detto il professor Rony Hamauidocente all’Università Cattolica di Milano in Scienze bancarie, finanziarie e assicurative ed esperto di economia e finanza islamica.



A Baghdad il Parlamento è stato assaltato, si sono verificati violenti scontri con morti e feriti. L’Iraq sprofonda sempre più nell’anarchia. Come si spiega questa lotta tra sciiti?

Il Paese è completamente frammentato. La sicurezza è nelle mani di bande e milizie, si sta perdendo completamente il controllo. Non esiste una maggioranza possibile o qualcuno in grado di governare il Paese.



Quanto conta l’ingerenza iraniana?

Certamente conta, ma in Iraq oggi c’è di tutto, inclusi gli occidentali che finanziano alcune milizie. Tutti vogliono dire qualcosa come tutti volevano dire qualche cosa in Siria e alla fine si risolve tutto nel conflitto civile. In Iraq si è creata una situazione interna estremamente complessa con un livello di frammentazione delle forze politiche, ma anche di quelle militari, ormai fuori controllo. È un paese morto, come dicono gli inglesi.

Gli incidenti di questi giorni sono stati scatenati dall’annuncio di al-Sadr di volersi ritirare dalla vita politica. Pensa che lo abbia fatto per forzare la situazione?



Difficile dirlo. Quello che si osserva è che ormai da più di un anno in Iraq la situazione è fuori controllo e i governi che si sono succeduti sono stati tutti estremamente deboli. Ci troviamo in una situazione davvero complicata come in Siria, in Libia, in Libano. Ogni Paese ha la sua peculiarità, ma alla fine non esiste più un controllo della sicurezza e ci sono bande di tutti i generi e armi che circolano in abbondanza.

Conseguenza dell’invasione americana, che ha aperto il vaso di Pandora di una realtà frammentata?

Probabilmente sì, però queste situazioni in Medio Oriente sono ormai così frequenti che, se per quanto riguarda l’Iraq possiamo dire che gli americani hanno giocato un ruolo significativo, per quanto riguarda il Libano cosa possiamo dire? O in Siria e nello Yemen? Tutto il Medio Oriente sta diventando un’area incontrollabile e incontrollata.

Verrebbe da dire che i paesi islamici o vivono sotto un regime o si sfasciano. È così?

Diciamo pure che in questi Paesi il concetto di Stato, non dico di Stato democratico ma anche solo di Stato in sé, fa fatica ad affermarsi. Se ci fosse una dittatura, sarebbe già una cosa positiva, almeno finirebbe la guerra civile, questo è il paradosso. Non ci sono più neanche despoti.

Eppure il Libano è stato un esempio di convivenza riuscita almeno per un po’ di anni. Poi si è sfasciato anche lui. Perché?

Il Libano si è sfasciato certamente per i suoi motivi propri. Sono tutti Paesi con grandi differenze etniche e omogeneità religiosa e culturale molto basse. Il Libano aveva una presenza cristiana che faceva la differenza. Il risultato finale è che in Medio Oriente oggi non esistono più gli Stati, è una situazione barbarica di tribù e di gruppi che si fronteggiano.

Indebolendo i Paesi e facendoli diventare obiettivo delle medie e grandi potenze come Turchia, Russia e Iran?

Ma neanch’esse riescono a condurre in porto qualcosa. Gli iraniani ci provano da sempre, ma non riescono a fare nulla per tenere in pugno l’Iraq. Nessuno ci riesce, questa è la verità. Immaginiamo che cada il regime iraniano, cosa succederà? Un altro Iraq? Dal punto di vista internazionale sarà meglio, ma dal punto di vista del popolo? Lo vediamo in Afghanistan, neanche lì si riesce a governare. È un’area del mondo completamente fuori controllo, dove non esistono più gli Stati. E questo vuol dire morti, violenze, povertà. È un quadro deprimente.

(Paolo Vites)

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