L’Iraq è precipitato nel caos dopo due mesi di manifestazioni, soprattutto nel sud del paese. Come sta accadendo in molte nazioni del mondo, anche qui la gente è scesa in piazza per protestare contro le condizioni economiche sempre più stringenti, contro il caro vita e contro un governo incapace di affrontare le difficoltà. Negli ultimi giorni però la situazione è precipitata con un tentativo di repressione di estrema violenza, almeno 50 morti nelle ultime 24 ore, centinaia di feriti, arrivando così a un sanguinario computo di 400 manifestanti uccisi in due mesi di proteste. A questo punto il premier Adel Abdul-Mahdi ha annunciato le dimissioni mentre la massima autorità religiosa sciita irachena, il Grand Ayatollah Ali Sistani, ha chiesto al parlamento iracheno di togliere la fiducia al governo. Secondo Carlo Jean, già capo di stato maggiore della Difesa ed esperto di strategia militare e geopolitica, “dietro alle manifestazioni contro il governo c’è la mano del nazionalismo sciita iracheno, che è profondamente anti-iraniano. Questo governo è infatti sostenuto da Stati Uniti, che però hanno ogni interesse a sganciarsi dalla zona, e dall’Iran”. Ecco cosa ci ha detto.



Queste manifestazioni nascono in modo autonomo, per il disagio della popolazione, o nascondono la mano di qualcuno che ha voluto trascinare l’Iraq nel caos?

Sicuramente c’è dietro la mano di qualcuno, una mano anti-iraniana. Il problema dell’Iraq è che la differenza etnica tra arabi e persiani è più importante di quella religiosa, tenendo conto che il 60% della popolazione è sciita. La distinzione è infatti politica, perché entrambi, arabi iracheni e iraniani sono sciiti.



Il Grand Ayatollah Ali Sistani, massima autorità sciita, ha chiesto “un cambiamento politico”. In che direzione andrà l’Iraq se questo regime crollerà? Ci sarà un avvicinamento all’Arabia Saudita?

No, questo non potrebbe essere possibile perché quello che sta emergendo è il nazionalismo iracheno, quello che ha tenuto in piedi il paese durante il regime di Saddam. Ricordiamo poi che i sauditi nel secolo scorso invasero e distrussero i luoghi sacri sciiti dell’Iraq.

Oltre che dall’Iran, questo governo è sostenuto anche dagli Stati Uniti. Cosa faranno?

Gli Stati Uniti stanno a guardare, vogliono sganciarsi progressivamente dalla zona. Il fatto poi che sono alleati con l’Arabia fa loro piacere che prenda piede il nazionalismo iracheno che è anti-iraniano.



Ma un cambio di regime cosa comporterebbe per la regione? L’Iraq è una sorta di Stato cerniera fra Iran e Medio Oriente.

Lo è fino a un certo punto; ricordiamo che gli sciiti iracheni hanno combattuto valorosamente contro gli sciiti iraniani durante la drammatica guerra degli otto anni, dal 1980 al 1988. Vedono gli iraniani come il fumo negli occhi.

Ma una svolta politica sarà positiva o porterà a danni e instabilità peggiori?

Per il popolo iracheno sarà sicuramente negativa, perché ci saranno sconti sanguinosi e il popolo sarà vittima di violenza. Per gli equilibri del Medio Oriente no, perché quello che domina la regione è il contrasto fra Arabia Saudita e Iran. Una volta che questo cambiamento sarà compiuto, ci sarà probabilmente una forma di avvicinamento all’Arabia e soprattutto ad alcuni Stati del Golfo come gli Emirati e il Kuwait.