Per la prima volta nella sua storia Israele non riesce a dare vita a un governo post-elezioni ed è costretta a tornare al voto a settembre. Si tratta, ci spiega il corrispondente dal Medio Oriente Filippo Landi, di un fatto inedito, ma che scopre una realtà importante: “I partiti religiosi ultraortodossi e di ultradestra che sempre avevano permesso a Netanyahu di formare dei governi, per la prima volta gli tolgono l’appoggio”. Il motivo? “Si sentono politicamente più forti che mai”. Che cosa significhi per Israele, ce lo spiega in questa intervista.



“Uno scenario senza precedenti nella storia di Israele” è stato detto: che cosa è successo veramente?

Quello che sta accadendo è un evento politico assolutamente insolito. Le trattative per la formazione di nuovi governi, molti di questi guidati proprio da Netanyahu, hanno sì richiesto molte volte tempi lunghi, ma tutte le trattative si concludevano con un accordo.



Questa volta invece?

Coloro che in genere cedevano all’ultimo minuto erano i partiti religiosi ultraortodossi, che sono sempre stati una componente importante seppur minoritaria dei governi Netanyahu. Questa volta hanno detto un no deciso alla richiesta di una leva militare generalizzata per tutti i giovani ultraortodossi, proposta di legge che in Israele si dibatte da decenni. Questo significa una cosa: che questi partiti si sentono politicamente più forti che in passato.

L’ex ministro della difesa Lieberman che fece cadere il governo lo scorso novembre, che ruolo ha in questo situazione?



Su questo punto è stato intransigente: da una posizione di destra e laica, all’opposto di questi partiti, ha chiesto che questa legge venisse approvata senza ma, spingendo in questo modo alla rottura delle trattative.

È corretto dire che in questo modo ha fatto cadere Netanyahu due volte? Alle prossime elezioni che scenario si profila?

Si gioca tutto all’interno della destra. Lieberman è a capo di un partito di destra con 5 deputati, gli altri partiti ultraortodossi sono anche loro nell’ambito della destra. Lieberman punta a cercare consensi nel mondo laico che in larga parte vota per quello che è rimasto della sinistra e del centro. Ma ancora una volta la vittoria si deciderà sul tema della sicurezza.

Cioè?

Netanyahu è il maestro delle campagne elettorali che trovano nella sicurezza rispetto ad arabi e palestinesi il suo punto di forza. Ma questa volta ha un punto di debolezza e forse Lieberman a questo mirava.

Di cosa parliamo?

A fine agosto Netanyahu sarà interrogato per le accuse di corruzione che da anni lo incalzano, molti indicatori dicono che da quel colloquio uscirà un’incriminazione formale. Questo potrebbe per la prima volta cambiare il suo ruolo da possibile vincitore a possibile sconfitto. Ma si saprà alla fine di agosto.

Nei prossimi giorni ci sarà nel Bahrein il summit internazionale sull’economia palestinese, che l’Iran chiede a tutti i paesi arabi di boicottare. Che cosa succederà?

Questo summit è un vertice molto strano, dove non andranno i palestinesi, che non sono stati ascoltati nella preparazione. È un tentativo di Trump non tanto per risolvere il problema israelo-palestinese ma per posizionarsi nello scenario mediorientale in vista di un possibile conflitto con l’Iran senza avere alle spalle il problema di una rivolta palestinese. Questo ridimensiona il summit, che più che un incontro politico è un appuntamento economico per verificare questo progetto decennale che dovrebbe convincere, in cambio di aiuti economici, i palestinesi a rinunciare a Gerusalemme capitale del solo Israele, alla Cisgiordania e al diritto al ritorno dei rifugiati. Nessuna di queste richieste è stata accolta, per cui sarà un nulla di fatto.