Nulla di fatto per Netanyahu nel primo tentativo di formare un governo dopo le recenti elezioni. Scaduto il tempo, previsto per legge, di 28 giorni, il leader del Likud non è riuscito a formare la maggioranza prevista di 61 seggi sui 120 del Parlamento israeliano. Nelle prossime ore il presidente Reuven Rivlin dovrà comunicare a chi affiderà il secondo incarico. Secondo Filippo Landi, già corrispondente Rai da Gerusalemme, “sembra che Naftali Bennett, leader di Yamina, partito di destra che ha reso impossibile a Netanyahu formare un governo, si stia accordando con il capo dell’opposizione, il centrista Yair Lapid. Insieme i due arriverebbero però a 45 seggi, non sufficienti ad avere una maggioranza assoluta.



Da qui la novità: una trattativa sottotraccia con i due partiti arabi presenti alla Knesset, che potrebbe portare alla formazione del governo”.

Il fallimento di Netanyahu era previsto? O è una sorpresa?

Il fallimento di Netanyahu, in questo primo tentativo, non è stato assolutamente una sorpresa. Si ripete oggi quello che è già accaduto negli ultimi anni, quando Netanyahu ha ricevuto il mandato e anche in precedenza ha dovuto rinunciare al primo tentativo.



Questo fatto ha un valore politico?

È una situazione che ormai continua da anni. I partiti di centrodestra che ricevono tramite Netanyahu l’incarico di formare il governo non vogliono dargli un’ulteriore vittoria politica. Le divisioni nel centrodestra sono alla base di questi fallimenti: in altre parole, ciascun partito vuole, compreso il Likud, la parte maggiore nella spartizione dei posti di governo e il ruolo di primo ministro. Quanto accaduto negli scorsi anni si ripete anche adesso, anche se oggi ci sono alcuni elementi di novità.

Quali?

Il primo è che chi ha rifiutato di dare a Netanyahu nei giorni scorsi la possibilità di tornare a guidare il governo, e mi riferisco al leader del partito di centrodestra Naftali Bennett, che dispone di 7 seggi in Parlamento, ha di fatto iniziato una trattativa con la persona che probabilmente riceverà il mandato, Yair Lapid, che vanta il secondo maggior numero di deputati: 17. Il Likud ne ha 30. Se Lapid, come pare, riceverà il mandato, troverà un interlocutore quasi certo in Bennett.



Quali  sono i termini della trattativa tra i due?

Quella di un primo ministro a tempo. Bennett va al tavolo per chiedere di essere per almeno due anni il premier e Lapid per gli altri anni. Ma i numeri sono impietosi: con 45 seggi non si raggiungerebbe la maggioranza di 61, contando sul solo apporto di Bennett. E questo apre un ulteriore scenario.

Che sarebbe?

Il ruolo che di fatto già in queste settimane hanno assunto i partiti arabi.

Ci spieghi meglio.

I due partiti arabi presenti alla Knesset hanno in totale dieci seggi e nessuno, pur avendo fatto parte di incontri ufficiali tra i diversi partiti, si è espresso a favore di un candidato.

Perché?

Nel gioco della politica rischiano di bruciare quel candidato, dato che l’apporto dei partiti arabi viene visto come fumo negli occhi da parte di altri partiti e quindi preferiscono per adesso tacere. Ma sicuramente, se questa alleanza di centrodestra di Bennett veramente volesse funzionare, dovrà passare anche attraverso una trattativa con i partiti arabi. Una novità assoluta nella politica israeliana.

Sembra un quadro un po’ fragile, non crede?

Certo. In realtà è quello che pensa anche Netanyahu. Il Likud lo ha già detto che la responsabilità del mancato accordo è di Bennett e dall’altra parte la speranza del Likud è che anche Bennett e Lapid capiscano l’impossibilità di fare un governo, così si tornerebbe alla trattativa guidata da Netanyahu con i 7 parlamentari di Bennett, che rappresentano l’ago della bilancia.

Ma è possibile che il Likud non riesca a esprimere una personalità alternativa a Netanyahu?

È la domanda che ha segnato gli ultimi due anni del Likud. Il risultato è che uno dei leader del partito che sembrava potesse sostituirlo è stato obbligato ad andarsene e a fondare un nuovo partito, Nuova Speranza, che ha ottenuto 6 seggi. Questo significa che il blocco di potere intorno a Netanyahu non permette un ricambio interno al Likud. In questi giorni sono emersi però altri due elementi di novità.

Quali?

Il primo, molto importante, arriva dagli Stati Uniti. Nel corso dell’assemblea annuale dell’associazione ebraica di sinistra è venuta fuori la proposta di una confederazione fra Israele e Palestina, che rappresenta un elemento di novità politica, perché va contro le richieste di uno Stato unico di Israele, ma nel contempo supera anche quello che sembra ormai impossibile, due Stati in una realtà geografica che Israele ha già condizionato. Darebbe ai palestinesi pieni diritti politici e civili.

L’altro?

È di queste ore la proposta dell’Iran all’Arabia Saudita di trattative a tutto campo. In questo modo lo spauracchio dell’Iran potrebbe non essere più un’arma politica in mano a Netanyahu.

(Paolo Vites) 

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