Dalla protesta degli sfratti di metà aprile fino all’assalto della polizia israeliana alla Moschea di al Aqsa di Gerusalemme è stato un crescendo di tensione. Poi le rivolte e la guerra. “Stiamo vedendo un tipo di attacchi dell’esercito israeliano che abbiamo già visto in anni precedenti, nel 2008 e nel 2014” dice al Sussidiario Filippo Landi, già corrispondente Rai da Gerusalemme. Ecco la sua analisi.



“All’epoca furono la premessa di un attacco terrestre, insomma di una parziale invasione di Gaza. Allora come oggi vediamo pesanti bombardamenti aerei ed insieme il richiamo di migliaia di riservisti israeliani. Soprattutto, sono già in azione i carri armati israeliani, che colpiscono le zone palestinesi a ridosso del confine.



Quali sono le vere intenzioni di Israele?

Non solo e non tanto colpire le strutture di Hamas, quanto intimorire e far allontanare la popolazione dalle proprie case, per evitare un bagno di sangue tra i civili che sarebbe politicamente insopportabile per Israele sul piano internazionale. L’invasione terrestre di Gaza, a meno che non sia totale, non potrà fermare il lancio dei razzi di Hamas. Così è accaduto anche in precedenza. Sarà necessario invece un accordo, una tregua, un cessate il fuoco concordato dai politici, di Hamas e di Israele.

Continuano anche gli incidenti all’interno di Israele. La polizia israeliana è accusata di non riuscire a contenere i disordini in città e in altre località arabo-israeliane. La situazione sta sfuggendo di mano?



La polizia innanzitutto è stata colta di sorpresa dall’esplodere delle violenze, delle devastazioni e degli scontri tra gli ebrei e i palestinesi che risiedono all’interno delle stesse città israeliane. La vastità e la violenza di questi scontri ha impressionato tutti gli israeliani. Quando poi la polizia è entrata in azione si è ripetuto un copione già visto, purtroppo, tante volte.

Quale sarebbe?

Massima fermezza contro i manifestanti palestinesi, inerzia contro gli estremisti israeliani, fino a giungere alla scelta, in taluni casi, di non intervenire contro aggressioni e sanguinosi pestaggi di palestinesi ed anche di stranieri residenti in Israele. La situazione ad Haifa, Nazareth, Acri, Lod rimane tesa e molta gente, soprattutto palestinesi, evitano di uscire di casa.

Tutti sappiamo che la scintilla delle proteste palestinesi sta nelle immagini che sono giunte da Gerusalemme, a cominciare dall’invasione della Moschea di al-Aqsa da parte della polizia israeliana. Cosa può dirci in proposito?

Questo è vero, ma è altrettanto certo che la legna da ardere si è accumulata da anni di piccole e grandi prevaricazioni, amministrative ed economiche, che i palestinesi “cittadini” israeliani hanno subito e continuano a subire.

Sono i cosiddetti “accordi di Abramo” il vero obiettivo strategico delle turbolenze in atto tra Hamas e lo Stato di Israele?

Credo che si voglia dare un’eccessiva e immeritata importanza ai cosiddetti “accordi di Abramo”, che sono passati come un vento, dopo il quale è avvenuta la riapertura di alcune relazioni diplomatiche tra Israele e taluni Stati arabi. Politicamente non si è andati oltre, per due motivi.

Quali?

Per la sconfitta del presidente Trump, ma soprattutto perché nessuno si sente di portare avanti un “accordo di pace” che nessuno ha firmato e talmente sproporzionato a favore di Netanyahu, che gli israeliani hanno ripiegato nella loro vecchia politica di annessione strisciante del territorio palestinese.

C’è chi dice che l’eliminazione di Hamas farebbe comodo sia a molti paesi arabi, dopo il riconoscimento di Israele e l’inizio di una nuova stagione inedita di rapporti arabo-israeliani, sia all’Autorità nazionale palestinese.

Non c’è dubbio che alcuni paesi arabi, in particolare l’Egitto e l’Arabia Saudita, vogliano esportare la loro formula “autoritaria” per affrontare e risolvere in modo definitivo i problemi politici. L’Egitto ha visto negli anni scorsi un colpo di stato militare che ha spazzato via il presidente Morsi, ed insieme il massacro nelle strade di migliaia di Fratelli musulmani, l’arresto di decine di migliaia di “oppositori” e “terroristi”, laici e religiosi, che ancora riempiono le carceri egiziane, il ruolo preminente della polizia, a cui nulla è vietato, in primo luogo l’uso generalizzato della tortura, come il caso Regeni ha tristemente confermato.

E riguardo all’Arabia Saudita?

Qui il riformismo del principe ereditario non ha svuotato le prigioni degli oppositori, ma soprattutto non ha fermato la crudele guerra condotta nello Yemen.

L’unico che sembra essere rimasto a difendere Hamas è Erdogan.

Riguardo al presidente turco Erdogan e al sostegno, più a parole che nei fatti, ad Hamas è evidente che persegue una politica più nazionale che internazionale. In ogni caso, c’è da fare attenzione alla chimera di chi pensa ed alimenta (anche all’interno delle comunità ecclesiali in Medio oriente) l’idea che il conflitto israelo-palestinese possa risolversi con il rovesciamento di Hamas. È un’illusione pericolosa, che fa chiudere gli occhi e genera il disinteresse e l’inerzia di fronte al fiume di ingiustizie quotidiane che scorrono in Palestina, in Israele e quasi ovunque in Medio oriente.

Yair Lapid, leader centrista dell’opposizione, ha detto che gli eventi della scorsa settimana “non possono essere una scusa per mantenere Netanyahu e il suo governo al loro posto. Al contrario” ha scritto Lapid su Facebook “sono esattamente il motivo per cui dovrebbe essere sostituito il prima possibile”. Nella politica israeliana ci sono le premesse di una svolta?

Qualche voce ha fatto pensare ad una svolta. Lapid, come hai ricordato, ha chiesto di non fermarsi davanti all’emergenza. Tuttavia, molte delle forze tradizionali della politica israeliana vanno in senso opposto. Nel senso, tante volte sperimentato, di una coalizione di partiti, anche tra di loro opposti, ma che garantiscano la distribuzione del potere, a cominciare da Netanyahu.

Accadrà anche questa volta?

Ora è Naftali Bennett, forte dei 7 seggi del suo partito di centrodestra, ad annunciare che intende riprendere le trattative con Netanyahu, perché un governo alternativo “non potrebbe reggere le attuali tensioni tra ebrei ed arabi in Israele”. Insomma, Lapid può aspettare ancora.

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