Un medico ucciso a Gerusalemme, davanti alla Spianata delle moschee, dalla polizia, gli agenti che eseguono arresti nella moschea di Al Aqsa, razzi lanciati da Gaza, un clima di tensione che non accenna a diminuire.
La situazione in Israele è sempre più incandescente. “Qualcuno – dice Filippo Landi, già corrispondente Rai a Gerusalemme e poi inviato di Tg1 Esteri – pensa all’interno dell’area di destra, a livello politico e anche a livello di movimenti della società civile, che sia giunto il momento della rivincita rispetto alla sconfitta politica che ha portato al blocco della riforma della giustizia”. Così proseguono scontri e provocazioni.
Il clima che si respira in questo momento in Israele lo definisce bene una frase del ministro Ben Gvir: “Bisogna mozzare teste a Gaza”. La tensione è così alta?
Il punto di partenza è stata la terribile morte del medico di origini beduine che proveniva dal Nord della città di Haifa, dove non a caso in queste ore ci sono stati scontri violentissimi tra palestinesi, israeliani e polizia. Un’uccisione avvenuta dopo un diverbio tra il medico e la polizia che impediva l’accesso di una donna palestinese sulla Spianata delle moschee. Quello che ha colpito in modo devastante l’opinione pubblica è stata la registrazione della scarica di proiettili, un intero caricatore, sul corpo del medico. Quindi un omicidio.
Non era armato, stava semplicemente protestando?
Sì, era proprio a ridosso dell’ingresso della Spianata delle moschee. Questo terribile incidente però non era stato seguito da manifestazioni violente. Venerdì della scorsa settimana, invece, il capo del movimento per il Ritorno al Tempio è stato fermato proprio dalla polizia israeliana perché stava pianificando, come ha tentato di fare ogni anno, il rito del sacrificio della Pasqua ebraica sulla Spianata delle moschee. Dopo qualche ora è stato liberato tra gli applausi dei suoi sostenitori. Per anni ha tentato questa operazione e sistematicamente veniva liberato grazie all’intervento di un avvocato che oggi è ministro della Sicurezza interna, Ben Gvir.
Poi ci sono stati gli scontri della moschea di Al Aqsa.
I giornali sottolineano che la polizia, quando ci sono state le prime proteste palestinesi sulla Spianata delle moschee, è caduta nella trappola e sono iniziati scontri violentissimi le cui immagini stanno girando il mondo e in particolare tutti i Paesi arabi e musulmani, mostrando l’ingresso ripetuto dei soldati dentro la moschea di Al Aqsa, gli arresti sempre dentro la moschea, sia pure con l’intento, dicono i comandanti della polizia, di fermare gli agitatori. Immagini che mostrano la totale incapacità dei politici e dei comandanti della polizia di tenere conto di quali devastanti messaggi giungono fuori dalla Spianata delle moschee.
La posta in gioco qual è? I palestinesi protestano anche perché hanno paura che venga tolta loro la Spianata delle moschee?
Hamas è rientrata in gioco con il lancio di razzi proprio perché è consapevole che quello che accade a Gerusalemme può determinare un ritorno di interesse verso questo movimento. Ma in generale ci sono due elementi in gioco. Il primo: portare a compimento quello che gli attuali ministri della destra israeliana, cioè Smotrich e Ben Gvir, hanno sempre chiesto, cioè la spartizione della Spianata delle moschee, che non dovrebbe essere più come lo status quo tra le religioni e gli accordi di pace del 1990 con Giordania ed Egitto avevano sancito, e cioè che tradizionalmente sarebbe stata gestita da una istituzione religiosa musulmana. Chiedono la spartizione e la gestione di una parte di essa direttamente da parte di Israele.
I musulmani rimarrebbero?
Dovrebbero rimanere in un’area della Spianata, mentre un’altra area sarebbe controllata e gestita da Israele. L’intento è che nella parte riservata agli ebrei verrebbero fatti tutti i sacrifici e le cerimonie religiose e quindi anche procedere alla costruzione di una sinagoga in ricordo del vecchio tempo distrutto dai Romani. Questo è il primo obiettivo, ma in realtà oggi ce n’è un secondo, ancor più urgente per la destra israeliana, quello di riappropriarsi di una presenza nello scenario politico che le proteste dei mesi scorsi hanno gravemente incrinato. Sono loro che chiedono di gestire i fondamenti della politica israeliana e quindi il rapporto con i palestinesi diventa nuovamente una possibilità di affermare la loro presenza.
C’è anche una sentenza che ha spinto a questa reazione.
Sì. Tutto questo infatti accade all’indomani della prima sentenza della Corte Suprema israeliana su una controversia, che andava avanti da trent’anni, relativa a una famiglia palestinese che il fondo ebraico aveva chiesto di sfrattare, rivendicando la proprietà di una terra a un gruppo ebraico. La sentenza ha dato ragione alla famiglia palestinese.
È anche per questo che la destra ha pensato a una rivincita?
Sì, perché quella Corte Suprema che era stata uno dei bersagli principali della riforma della giustizia agli occhi della destra israeliana oggi è ancora più schierata contro le loro posizioni, non solo sui temi genericamente della giustizia e dei rapporti politici, ma anche dei rapporti con i palestinesi. Ma interviene un ultimo elemento a complicare il quadro.
Quale sarebbe?
Un altro dei capisaldi di Netanyahu e della destra in genere, cioè di colpire l’Iran, diventa oggi molto più difficile. I rapporti diplomatici riallacciati tra l’Arabia saudita e l’Iran con un accordo mediato dalla Cina segnano la fine per Israele della possibilità di scaricare sull’esterno alcune contraddizioni interne. C’è stata comunque in queste ore una reazione rabbiosa, perché siamo giunti al quinto o sesto attacco aereo alla periferia di Damasco contro accampamenti delle milizie iraniane andate lì a sostenere Assad.
Eppure Netanyahu, dopo gli incidenti alla Spianata delle moschee, sta facendo il pompiere, dichiarando che Israele garantisce la libertà di culto.
Netanyahu è un pompiere che ha poca acqua nelle pompe a sua disposizione: nei mesi scorsi aveva cercato di sconsigliare Ben Gvir a salire sulla Spianata delle moschee a fare quella passeggiata che innescò altri incidenti. Però Ben Gvir è andato per la sua strada. Quello che è accaduto con il medico ucciso all’ingresso della Spianata dimostra che Netanyahu non ha il controllo delle modalità di azione della polizia, perché certe modalità evidentemente sono sproporzionate. I tentativi verbali di Netanyahu sono frutto della consapevolezza che si può entrare in una situazione molto critica. Ma quello che fa è molto debole.
L’ex presidente Barak, intanto, ha ammesso che Israele possiede armi nucleari. Perché una dichiarazione del genere in questo momento?
Le sue dichiarazioni sono molto interessanti perché hanno un duplice aspetto. Il primo è un ammonimento all’Iran di non farsi schermo degli accordi diplomatici per proseguire i suoi lavori finalizzati ad avere materiale nucleare disponibile che loro dicono per fini civili, mentre gli israeliani hanno sempre detto che l’obiettivo è una bomba atomica. Nel contempo questa ammissione pone un problema a Israele, problema che il resto del mondo ha affrontato firmando il trattato per la non proliferazione nucleare, che invece Israele non ha mai sottoscritto perché ha sempre negato di avere queste armi. Può essere considerato un’indicazione per affrontare il problema nucleare in Medio oriente coinvolgendo tutte le nazioni, Iran ma anche Israele, su un terreno di blocco dell’uso del nucleare a fini militari.
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