La confusione in Kazakistan è massima, e mancano fonti dirette perché è impossibile comunicare ormai da tre giorni. Testimoni diretti sono però riusciti in qualche modo a confermare l’ingresso nel paese di truppe russe giunte a sostenere il governo in carica, secondo quanto consente il trattato di alleanza del Csto, l’Organizzazione del trattato per la sicurezza collettiva, composta da sei ex repubbliche sovietiche e guidata da Mosca.
Tutto è nato in seguito ad alcune manifestazioni popolari di protesta contro l’aumento del gasolio che poi sono sfociate in scontri armati con le forze dell’ordine perché, sembra, in mezzo si sono infiltrati gruppi armati che contestano il presidente kazako, Kassym-Jomart Tokayev, da molti considerato un dittatore più che un presidente.
Don Edo Canetta, attualmente parroco nella chiesa di San Vincenzo de’ Paoli a Milano, ma che per vent’anni ha insegnato italiano e cultura europea all’università statale del Kazakistan, da noi contattato, ci ha detto che “la situazione è molto grave da quel poco che riusciamo a sapere. Alcuni miei contatti che studiano in Russia ma hanno i genitori in Kazakistan dicono che si sta cercando di uccidere tutti quelli che sono scesi in piazza armati”. In Kazakistan ci sono molte compagnie petrolifere occidentali tra cui l’Eni. “La preoccupazione” ci ha detto ancora “è che adesso questi contestatori se la prendano con gli stranieri e si finisca in un’evacuazione come quella dell’Afghanistan”.
Lei è riuscito a sentire qualcuno dei suoi ex studenti in Kazakistan? Ha qualche informazione su cosa stia succedendo?
Da due giorni cerco di parlare con l’ambasciatore italiano e con il nunzio apostolico ma è impossibile. È stato interrotto Internet.
Anche le linee telefoniche?
No, quelle però sono intercettate. Quando chiamo mi risponde una persona che parla in inglese con un forte accento kazako e mi dice che la linea non è disponibile. Ho provato una triangolazione con studenti che studiano in Russia e che ogni tanto riescono a parlare con i genitori in Kazakistan e da quello che ho saputo la situazione sembra molto grave.
Hanno confermato l’ingresso delle truppe russe nel paese?
Secondo una mia studentessa che sta in Bielorussia, ma che ha la madre a Almaty (la città dove si sono verificati gli incidenti più gravi, ndr), dice che nella notte c’era gente armata che ha sparato alla polizia. Non sono quelli che manifestavano pacificamente contro gli aumenti. Adesso queste persone sono state isolate in centro, li hanno circondati e sembra li stiano facendo fuori tutti. Non ci mettono molto in paesi come questo a utilizzare questi metodi.
Manifestazioni di protesta in cui si sono infiltrati agitatori che hanno come obbiettivo il regime al potere: è plausibile?
Sì. La situazione è questa: l’aumento del gasolio, che comunque è irrisorio, è stato una goccia nel vero disastro economico. Quando sono andato via io ci volevano 200 tenge, la valuta ufficiale, per un euro. Adesso ce ne vogliono 500.
Come mai una crisi del genere in un paese così ricco di risorse?
È vero che è ricco, soprattutto di petrolio, ma bisogna risalire a quando c’è stata la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Tutte queste ex repubbliche sovietiche asiatiche sono state completamente abbandonate perché i russi non avevano nessuna percezione delle ricchezze che vi si trovavano. Solo con le ricerche fatte da Eni e altre compagnie si sono scoperti gli enormi giacimenti che oggi conosciamo. Quindi il Kazakistan dopo essere stato mollato al suo destino dalla Federazione russa si è ritrovato completamente allo sbando. Le ricerche petrolifere sono state fatte grazie a grossi investimenti da parte di diverse compagnie petrolifere, in particolare modo dall’Eni che aveva la leadership del settore, poi sprecata per una serie di errori madornali. In sostanza, lo Stato guadagna dal petrolio solo il 16% della produzione, tutto il resto, come è anche giusto in una logica di investimento, va alle compagnie petrolifere che hanno investito in soldi e tecnologia. Ma la gente questo non lo capisce.
Con l’arrivo dei russi è facile prevedere che le proteste vengano soffocate, ma poi? Lei cosa teme di più?
La cosa che temo di più è che quelli che contestano il presidente finiranno per dare la responsabilità alle compagnie straniere. Una delle prime cose che il governo ha fatto infatti è stato chiudere tutti gli aeroporti, questa è la lezione di Kabul.
In che senso?
Mi trovavo in Kazakistan dopo i fatti dell’11 settembre 2001 e mi occupavo dell’evacuazione degli italiani. Già allora dicevo che far uscire tutti tramite un aeroporto non era il metodo giusto. Sono il primo obiettivo sensibile come a Kabul. Avevo preparato delle alternative via terra, cosa che sto cercando di dire di nuovo all’ambasciatore sperando di riuscire a parlarci.
(Paolo Vites)
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