In Kosovo è esplosa la protesta da quando la scorsa estate il governo della Repubblica albanese del Kosovo ha imposto per tutti i cittadini l’uso di targhe stradali uniche, compresa la minoranza serba che fino a quel momento poteva disporre di targhe di Belgrado. Nel fine settimana migliaia di persone sono scese in strada a Mitrovia, la città dove risiede la più numerosa comunità serba del Kosovo. Dieci parlamentari, un ministro e molti dirigenti delle amministrazioni locali hanno dato le dimissioni. È la crisi più grave da quando nel 2004 gli albanesi attaccarono e distrussero numerose chiese e luoghi sacri ortodossi e ci furono decine di morti da una parte e dall’altra.
“Il Kosovo” ci ha detto in questa intervista il generale Marco Bertolini, già comandante del Comando operativo di vertice interforze e della Brigata Folgore in numerosi teatri di guerra, dalla Somalia al Kosovo e all’Afghanistan “è un fuoco lasciato acceso sin dalla sua contestata creazione dopo la guerra del 1999. Che si sia trattato di un clamoroso errore causato dall’ignoranza della realtà di questa regione, o voluto appositamente per creare difficoltà alla minoranza serba, in questo modo mettendo Belgrado in condizioni di intervenire militarmente, non sappiamo dirlo. Certo è che se sommiamo questa situazione ad altre che interessano Paesi legati a Mosca, sembra ci sia un disegno strategico”.
È in atto una pericolosa rivolta della minoranza serba in Kosovo per un motivo, il cambio delle targhe, che sembra piuttosto banale, no?
Non direi banale, anzi. Se si conosce la realtà di questa regione sembra piuttosto una strategia di provocazione nei confronti della minoranza serba. Il Kosovo è uno dei tanti fuochi che covano sotto la cenere da quando è nato. Bisogna infatti ricordare che la coscienza fortemente nazionalista del popolo serbo è nata proprio in Kosovo, risale addirittura al XIV secolo, là si trovano molti luoghi santi per l’ortodossia serba, che sono stati inglobati in questa repubblica a direzione albanese.
Quindi una problematica lasciata aperta sin dalla creazione del Kosovo?
Esatto. È stato creato un problema che rimane latente: i serbi continuano a considerarla una loro terra irredenta, cioè non liberata. Ci sono poi anche motivi energetici: in Kosovo esiste un’importante miniera di carbone tutt’ora attiva. Quanto sta accadendo oggi non viene fuori dal nulla, già poco tempo fa a Mitrovica c’erano state importanti proteste per la decisione kosovara di tagliare i ponti che collegano la città a Belgrado. Personalmente questa crisi la inserirei in una delle tante crisi originate da quello che sta succedendo in Ucraina.
A questo proposito viene da pensare a quello che succede in Donbass. C’è da chiedersi perché al momento di costituire la Repubblica del Kosovo non si sia pensato alla minoranza serba del nord del Paese, a come sono stati tracciati i confini. Restituire alla Serbia questa piccola zona non risolverebbe il problema?
Il ragionamento non fa una piega. È stato creato un problema, non sappiamo se c’è stata una “manina” che ha voluto una situazione in grado di esplodere in ogni momento. Ma come stavo dicendo, che questa crisi succeda proprio adesso fa pensare.
In che senso?
Guardiamo a quel che sta succedendo in mezzo mondo. In Iran, dove nessuno ha mai protestato per il velo alle donne, scoppia una crisi e una rivoluzione in uno dei pochi Paesi che appoggiano la Russia dopo che è scoppiata la guerra in Ucraina.
E la Serbia non appoggia le sanzioni contro Mosca.
Infatti, è un Paese culturalmente è molto vicino alla Russia e se il governo cerca di astenersi da prese di posizione troppo forti, la popolazione invece è schierata in maniera compatta con i russi. Dicevo dell’Iran, ma anche della guerra tra Azerbaijan e Armenia e delle turbolenze in Kazakistan che si sta allontanando da Mosca. Adesso il Kosovo.
Ritiene quindi sia in atto un disegno strategico per danneggiare il Cremlino?
Se non è un disegno strategico è una serie di coincidenze curiose: su tutto il fronte meridionale russo i Paesi da sempre più vicini alla Russia sono in subbuglio.
In Kosovo c’è una missione Nato il cui contingente più numeroso è quello italiano. Come mai questo nostro forte impegno? Lei che in Kosovo c’è stato h toccato con mano questa contrapposizione albanese-serba?
Quello italiano è un ruolo tradizionale, abbiamo sempre avuto una presenza importante, abbiamo anche costruito un aeroporto. In Kosovo ci sono stato in visita diverse volte, lo conosco abbastanza bene e questa contrapposizione fra serbi e albanesi c’è sempre stata. Nei primi anni duemila ci fu una sorta di pogrom contro i serbi, furono uccisi due ragazzi e vennero scatenati assalti ai monasteri e alle chiese ortodosse. I tedeschi lasciarono fare, noi italiani invece abbiamo difeso molte realtà religiose, tanto che la chiesa ortodossa ha insignito la nostra brigata del più importante ordine religioso, mai concesso prima a un esercito straniero.
(Paolo Vites)
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