In Libano l’instabilità politica legata ai ritardi nella formazione del governo tecnico va a sommarsi alle difficoltà nella gestione della pandemia, con gli ospedali e l’economia al collasso e intere fasce della popolazione (fra cui anche i profughi siriani) che godono di poche o nessuna tutela. Il Covid, la crisi di governo e quella economica, le trattative con Israele e le sanzioni americane, la mediazione francese: quale di queste voci peserà di più sul bilancio futuro del Paese? Ne abbiamo parlato col giornalista libanese Camille Eid.



Cominciamo dai fatti più recenti. Quale sarà l’impatto della vittoria di Biden sulla situazione politica in Libano?

L’atteso governo del premier incaricato Hariri era stato rinviato a dopo le elezioni americane. I partiti, in particolare Hezbollah, hanno cercato di aspettare l’esito delle elezioni per capire come districarsi. Se avesse vinto Trump sarebbe stato tutto più legato alla partita America-Iran. Chiaramente Hezbollah aveva una preferenza per Biden.



Perché?

Perché più morbido nella gestione del dossier nucleare. E perché Biden aveva prospettato la reintegrazione da parte di Washington dell’accordo sul nucleare con l’Iran, quindi c’erano maggiori possibilità di trattativa. Questo l’ha dimostrato anche la decisione un po’ pazzesca di Trump di prospettare un attacco missilistico contro l’Iran, cui poi ha rinunciato dietro consiglio del Pentagono. C’erano delle ragioni insomma dietro questa preferenza.

E ora che accade?

Anche se le cose sono più chiare e le elezioni sono alle spalle da un po’ di giorni non vediamo ancora nuove prospettive su questo dossier del governo. Le cose si stanno complicando ulteriormente.



A cosa si riferisce?

La settimana scorsa Mike Pompeo era a Parigi e sappiamo che i due Paesi sono quelli che stanno facendo maggiore pressione sul Libano: chi con le sanzioni, come l’America, e chi con le pressioni diplomatiche, come la Francia. Macron ha mandato in Libano un emissario speciale, Patrick Durel, per cercare di suonare l’ultimo campanello d’allarme. Francesi e americani hanno affrontato anche il dossier libanese per vedere come agire di fronte a questo tergiversare dei politici del Libano, che non riescono, a distanza di due mesi e mezzo, a fare il governo. Avrebbero dovuto in due settimane formare un esecutivo credibile fatto di specialisti per l’applicazione delle riforme economiche più urgenti così da avere gli aiuti internazionali.

In questa situazione di instabilità generale come viene gestita la pandemia?

È la goccia che ha fatto traboccare un vaso di guai. Il governo del premier uscente Hassan Diab ha imposto un nuovo lockdown fino al 30 novembre, proprio perché i casi positivi avevano raggiunto dei picchi di 1.500 positivi al giorno, che è tanto per un Paese da 6 milioni di abitanti. Gli uffici pubblici sono chiusi, come le università e scuole, le eccezioni riguardano il settore agroalimentare, i trasporti e l’aeroporto di Beirut. È stata fatta una nuova valutazione dei casi, per vedere se permettere ad alcuni esercizi di riaprire. Il bilancio però non è ancora buono.

Gli ospedali sono al collasso?

Sono al collasso, alcuni perché risentono ancora dei danni materiali dell’esplosione del 4 agosto, altri perché sono già pieni. Il presidente della Croce Rossa libanese ha detto che noi siamo in guerra contro un virus ma senza armi, c’è un deficit nell’approvvigionamento di attrezzature e forniture mediche indispensabili. Il bilancio dei morti è arrivato a 900 (il 22 novembre, ndr), i casi positivi sono 116.500, c’è stato un aumento esponenziale in un mese. Le terapie intensive sono sature al 90%.

E ci sono le sofferenze economiche della popolazione.

Infatti riguardo proprio al Covid si sta discutendo la possibilità di ridurre il costo del tampone. Attualmente è di 150.000 lire libanesi, che un anno fa corrispondevano a 100 dollari, ora col crollo della moneta locale corrispondono a 19 dollari. Il cambio è di 8.000 lire per dollaro, contro le 1.500 di un anno fa. Con la riduzione dello stipendio, i libanesi dovrebbero in sostanza spendere un quinto dello stipendio per pagare il tampone, gli stipendi sono in lire, non più in dollari come una volta.

Qual è adesso la condizione dei profughi siriani nel Paese?

Soffrono su tutti i lati, qualche giorno fa la Siria ha organizzato una conferenza per il ritorno dei profughi, ma anche la prospettiva del ritorno non è confortante. Sarebbe un passare dall’inferno libanese all’inferno siriano. Anche lì il Paese è soggetto a sanzioni economiche da parte degli Stati Uniti, per cui non vedo possibilità adesso per i profughi che sono in Libano di andare in Siria. Non voglio immaginare col Covid cosa accade, godono di meno protezioni rispetto agli altri.

Il formarsi del nuovo governo cosa cambierebbe?

Questo doveva essere un governo tecnico ma sta diventando un governo politico, cioè di specialisti nominati dai partiti politici. Hariri è assediato dalle richieste dei partiti, quindi l’iniziativa francese, partita da una cosa molto chiara, cioè quella di fare un governo senza partiti, viene svuotata di ogni elemento nuovo.

Cioè?

Adesso i partiti si riparano dietro la figura di specialisti nominati da loro. In effetti i rallentamenti nella formazione del governo al momento sono dovuti alla richiesta da parte di Aoun e del suo partito di avere i ministeri della Difesa, dell’Interno e degli Esteri. Gli analisti non escludono che Hariri possa presentare la sua squadra ad Aoun proprio per sollevarsi da ogni responsabilità, quindi non rinunciando al suo incarico, come fece il suo predecessore Mustapha Adib, ma dicendo: ecco, io ho fatto il mio compito.

Quindi cosa farà?

Presenterà la sua squadra e aspetterà la firma di Aoun, che però non firmerà perché vuole essere compartecipe della formazione. E lì aspetteremo le calende greche, con il rischio che Francia e Stati Uniti decideranno insieme questa volta delle sanzioni. Il Libano non volendo fare un governo per sanare la situazione economica sarà soggetto a sanzioni, contro la classe politica chiaramente. E arriverà la lista di nuovi nominativi. Un bene per il popolo: devono colpire la classe politica senza danneggiare la popolazione, che è già messa a dura prova. Tanto che recentemente il patriarca ha sparato a zero contro i responsabili libanesi dicendo che vogliono abbattere il grande Libano per impossessarsi di ciò che rimane di esso. Stanno litigando sulle briciole.

Le trattative con Israele procedono?

Ci sono state quattro tornate da ottobre, la prossima, la quinta, è stata fissata per il 2 dicembre. Il Libano ha accettato di intavolare queste trattative con la speranza di poter alleggerire o schivare le sanzioni americane, che poi sono arrivate lo stesso. Sperano di risolvere questo dossier con l’augurio di trovare nel mare giacimenti di gas e iniziare a sfruttarli, ma qui si parla di un anno o due prima che inizino i lavori. Vediamo se le trattative andranno per le lunghe o se si concluderanno presto.

Si sa qualcosa del contenuto?

Circa il contenuto delle trattative non c’è molta diffusione ma sono in avanzamento, e questo è già un fatto positivo. Finché non arriviamo al risultato finale però non sappiamo cosa ci aspetta. È una porzione di territorio molto ampia quella contesa tra Israele e Libano, la definizione di questi confini risolverebbe almeno una delle tante questioni che adesso attanagliano i libanesi.

Qual è la più urgente?

Non sappiamo di che morte morire, tra morire di fame perché uno non ha più lo stipendio, di Covid o in un conflitto militare. C’è la presenza armata di Hezbollah che potrebbe trascinare il Libano nel conflitto.

E qui torniamo al punto iniziale.

Se Trump avesse mandato a bombardare l’Iran, come avrebbe risposto l’Iran? Bombardando le navi americane nel Golfo, ma poi dal Libano Hezbollah avrebbe lanciato missili contro Israele. E Israele non sarebbe restata certo in silenzio. Così i libanesi da un giorno all’altro avrebbero potuto trovarsi faccia a faccia con la terza opzione, quella di morire sotto il bombardamento israeliano – chiaramente provocato da Hezbollah, ma questo che importanza avrebbe avuto per i morti?

La vittoria di Biden cambierà le cose?

La politica estera americana adesso è ancora un’incognita. Rispetto al Medio Oriente i punti fermi sono la sicurezza di Israele e l’approvvigionamento di petrolio, che deve essere sempre garantito; cambieranno i dettagli. Che Biden torni al tavolo dei negoziati con l’Iran è un fatto positivo, ma in cambio di cosa? Bisogna vedere sempre qual è la contropartita. E il Libano, che è la parte più debole dello scacchiere mediorientale, potrebbe finire per pagare il prezzo di questi compromessi. Soffocato dal punto di vista economico, preso per il collo dai debiti, potrebbe finire per rappresentare la moneta di scambio per sistemare le cose. E questo non ci tranquillizza.

(Emanuela Giacca)