Dopo l’ennesimo attacco ai nostri soldati a servizio dell’ONU, in Libano, è lecito farci una domanda: che cosa possono fare questi militari nelle condizioni in cui sono stati messi, se non tornare a casa?

Perché, dopo che ha già perso la faccia per la sua dimostrata impotenza l’ONU dovrebbe chiedere anche il sacrificio della vita di questi giovani?



Un contingente militare come quello dell’UNIFIL non è una congregazione religiosa, come le suore di Madre Teresa, che possono trovare il modo di stare persino nella tana degli Houthi.

Perché oltre che rischiare la vita questi soldati rischiano la derisione, immeritata, di chi si sente di fare beffe, meritatamente, di chi li ha mandati.



E non voglio se non accennare alla spesa inutile per il loro mantenimento, perché, vista la situazione, questa dovrebbe essere l’ultima considerazione da fare.

Sarebbe una ritirata non disonorevole, se non per chi li ha abbandonati al loro destino, a parte molte parole di solidarietà.

Oggi è necessario che, oltre a noi, si muovano anche le mamme, le mogli e le fidanzate di questi nostri soldati. Non vogliamo vedove di guerra, ma neanche vedove di pace.

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