Superata finalmente la fase degli accordi di Skhirat risalenti al 2015, la Libia nonostante le tante difficoltà ancora presenti, si appresta al nuovo corso che dovrà portare alle elezioni nazionali il prossimo 24 dicembre. La Missione di supporto delle Nazioni unite in Libia (Unsmil) ha infatti reso nota la lista dei candidati al Consiglio di presidenza e alla carica di primo ministro del governo, 24 candidati per i tre posti del nuovo Consiglio presidenziale e 21 che ambiscono a fare il primo ministro. Secondo Mauro Indelicato, giornalista di Inside Over e del Giornale, esperto di geopolitica del Mediterraneo, “sarà difficile che venga nominato un primo ministro di Bengasi, di Misurata o di Tripoli perché questo sovvertirebbe gli equilibri nazionali. È possibile dunque che si punti su un outsider che garantisca un periodo di transizione. Per quanto riguarda l’Italia, certamente farebbe piacere la nomination dell’attuale vicepresidente dell’esecutivo di Serraj, Ahmed Maitig, uomo che ha sempre tenuto ottimi rapporti con il nostro paese e che ha fatto da mediatore nei momenti già difficili della crisi”.



Ci spiega in cosa consiste il Consiglio presidenziale previsto dal nuovo accordo elettorale?

È la novità più importante del nuovo corso libico che dovrebbe partire nelle prossime settimane. La Libia non ha una costituzione ma ha una base giuridica data dagli accordi di Skhirat del 2015 che prevedono un consiglio presidenziale e un governo. Il consiglio presidenziale sarebbe l’organo che rappresenta la presidenza.



Quali funzioni ha?

Per via delle divisioni interne che caratterizzano la Libia si è preferito creare non la classica figura del presidente della repubblica, ma un consiglio con più persone per dare una maggiore rappresentatività alle varie tribù e ai vari gruppi che dividono il paese. Gli accordi precedenti prevedevano che ci fosse un capo del consiglio presidenziale che coincidesse con la carica del primo ministro, infatti Serraj è uno dei nove membri dell’attuale consiglio presidenziale, ma ne è anche presidente, per cui in questo momento è anche capo del governo.

È questo che ha fatto scattare la ribellione nella Cirenaica?



Esattamente. Adesso invece il consiglio presidenziale viene scisso, per cui ci sarà un consiglio di soli tre membri e un primo ministro che non sarà più organico. Ecco il perché di due liste di rappresentanti da eleggere.

Ovviamente il primo ministro non dovrà far parte di una delle fazioni in cui è diviso il paese se no sarebbe come Serraj con un doppio ruolo?

Sì per questo per la prima volta è stata scissa la figura. Ci sarà un primo ministro espressione di tutta la Libia mentre il consiglio sarà espressione dei tre territori, Tripolitania, Fezzan e Cirenaica.

Questo consiglio avrà la funzione di controllo sul primo ministro?

Le funzioni sono quelle di un presidente in un paese parlamentare, controllo e garanzia dell’unità territoriale. Saranno i membri a mettere le firme sulle leggi e a fare le consultazioni per i governi.

Tra i candidati a primo ministro spiccano molti nomi delle due fazioni oggi in lotta. Ci sarà spazio per qualche sorpresa?

Questa possibilità c’è: come in un conclave ci sono figure che entrano papi ed escono cardinali. Attualmente figure favorite ci sono, ad esempio Fathi Bashaga, ministro degli Interni di Tripoli, originario di Misurata e appoggiato dalla Turchia, ma anche Ahmed Maitig, attuale numero due dell’esecutivo Serraj, molto vicino all’Italia, anche lui di Misurata ma meno vicino alla Turchia.

Dalla parte di Haftar invece?

Dall’altra parte c’è la figura uscente del parlamento Aquila Saleh, molto vicino all’Egitto e ben visto dalla comunità internazionale perché moderato. Come detto però, se dovesse emergere una figura di spicco di Bengasi, di Misurata o di Tripoli gli equilibri rischierebbero di essere compromessi. Se alla carica di primo ministro andrà un misuratino, Tripoli e Bengasi chiederanno delle contropartite; è possibile invece che in questa fase si trovi un outsider che possa fare equilibrio.

Le potenze straniere che hanno messo le mani in Libia, dalla Russia agli Emirati arabi alla Turchia, verranno tenute fuori? E in che modo?

Difficile escano dal gioco, avendo messo in campo uomini e mezzi. Gli equilibri a livello interno saranno lo specchio degli equilibri che si terranno a livello internazionale. Le trattative riguardano varie parti libiche, ma dietro ci sono le potenze internazionali. Bisognerà poi anche vedere come si muoverà sulla Libia Biden. Sono tutti attori che vorranno avere un proprio ruolo nella nuova formazione.

E l’Italia? Simpatizza per qualcuno in particolare?

Maitig ha studiato in Italia, è molto vicino a noi, negli ultimi anni è stato lui a fare da tramite tra Roma e Tripoli e certamente l’Italia vede di buon occhio una sua candidatura. L’Italia tra l’altro in questo momento potrebbe sfruttare, al netto delle nostre vicende interne, il suo ruolo.

Perché?

È rientrato in gioco perché Serraj sta cercando altri alleati oltre la Turchia e tra questi potrebbe esserci il nostro paese. Non a caso a gennaio la prima visita all’estero di Serraj è stata proprio a Roma.