Hanno fatto molto scalpore le parole pronunciate dal presidente francese Emmanuel Macron durante la recente visita all’Eliseo del presidente egiziano al-Sisi: “quella tra Egitto e Francia è una partnership strategica essenziale alla stabilità regionale e come tale non sarà condizionata, nei settori della difesa o dell’economia, dai disaccordi in materia di diritti umani”. L’atteggiamento di Macron ha un nome ben preciso, si chiama realpolitik e l’inquilino dell’Eliseo non ne ha mai fatto segreto. L’interesse nazionale francese nel Nord Africa (e non solo) si fonda, essenzialmente, su tre parole: armi, petrolio e geopolitica.



Queste tre “direttrici” guidano la politica estera d’oltralpe da molto tempo e sono state portate avanti in maniera tanto costante quanto spregiudicata, per lo meno, dagli ultimi tre presidenti che hanno guidato il Paese.

La Libia è un esempio emblematico. Nel 2011 Nicolas Sarkozy volle la guerra contro Gheddafi per mettere le mani sulle riserve petrolifere dell’ex Jamahiriya e in particolare su quelle del Golfo della Sirte che abbonda di risorse ancora parzialmente inesplorate. Durante la guerra del 2011, Parigi non lesinò nell’invio di armi ai ribelli di Bengasi; armi che, peraltro, sono ancora in mano a molte fazioni libiche. Il 13 aprile 2011 (dunque prima della morte di Gheddafi, 20 ottobre) Sarkozy aveva ricevuto in gran segreto il generale del Consiglio nazionale di transizione (Cnt), Fatah Younis, ucciso a Bengasi in circostanze ancora poco chiare nel luglio 2011, per discutere di garanzie per le future commesse energetiche. In quell’occasione il presidente francese avrebbe garantito a Younis addestratori militari ma anche lauti finanziamenti. Le truppe avrebbero avuto anche l’incarico di supervisionare il trasferimento di armi e rifornimenti ai ribelli, cosa assolutamente vietata dalla risoluzione Onu del 1973. Notizia mai confermata ma che insinua quantomeno un dubbio.



Hollande ha proseguito su questa linea. Come non ricordare quando, dopo il richiamo del nostro ambasciatore al Cairo, a causa dell’omicidio di Giulio Regeni, l’ex presidente francese si recò da al-Sisi con più di sessanta imprenditori pronti a firmare fior di contratti e ad allargare il business, già fiorente in armamenti, anche ad altri settori come quello dei trasporti e delle energie rinnovabili. Alcune delle armi, spesso finanziate con i soldi dei sauditi, finirono in Libia, nelle mani di Haftar, per alimentare il conflitto nel Paese. Eppure Hollande aveva appoggiato ufficialmente il governo voluto dalle Nazioni Unite con gli accordi di Skhirat del 2015 che avevano, di fatto, sancito la creazione di un Governo di accordo nazionale (Gna) guidato da Fayez al-Sarraj. Già allora, mentre il ministro degli Esteri francese si era recato in visita a Tripoli per omaggiare il “nuovo leader”, le forze speciali d’oltralpe operavano indisturbate nella base di Benina, nei pressi di Bengasi, a sostegno di Haftar.



Macron non è stato certo da meno. La Francia è stata, in anni recenti, il principale fornitore di armi dell’Egitto: solo nel 2017 ha venduto al Cairo dispositivi di guerra per un miliardo e mezzo di euro. Inoltre l’inquilino dell’Eliseo considera al-Sisi un alleato importante in chiave anti-turca, necessario a contrastare le mire espansionistiche di Erdogan in Libia e, più in generale, nel Mediterraneo e per evitare che la proiezione geopolitica di Ankara possa ostacolare i disegni francesi nell’area. Anche in questo caso non dobbiamo sforzarci di leggere tra le righe; è stato lo stesso Macron a dirlo, qualche mese fa, senza tanti giri di parole: “penso che la Turchia in Libia stia giocando un gioco pericoloso, contravvenendo a tutti gli impegni presi durante la conferenza di Berlino. Le preoccupazioni dell’Egitto sono legittime” e a sostegno della sua tesi si era spinto a constatare la “morte celebrale della Nato” che nulla aveva fatto per ostacolare l’avanzata turca.

Ad aggiungere ancora qualche tassello a questa “lectio magistralis di spietata realpolitik” basti ricordare tutti gli altri affari di Macron in Libia. Se da un lato il presidente francese vende armi agli alleati di Haftar, dall’altra non dimentica l’ovest. Di recente l’autorità petrolifera libica (Noc) ha discusso con la Total di un aumento della produzione di greggio e dello sviluppo di progetti di cooperazione in vari settori. L’accordo è seguito alla visita del ministro dell’Interno del Gna, Fathi Bashagha, a Parigi, in cerca di un endorsment per la sua premiership nei futuri assetti libici che, però, al momento, non si è concretizzata.

Insomma, sembra che l’Eliseo aspiri a tenere un canale aperto anche a Tripoli e dintorni. Cosa che non disdegnerebbe neppure l’Egitto. Pochi giorni fa una delegazione del Cairo si è recata nella capitale libica. Si mormora anche di una imminente visita di Sarraj in Egitto. È probabile che il “tandem” Macron/al-Sisi, vista l’incertezza che regna nel Paese e il rischio della ripresa delle ostilità, stia cercando di ergersi a nuovo mediatore per non restare marginalizzato nei futuri equilibri del Paese e, magari, per beneficiare degli affari del dopoguerra libico.

Da Sarkozy a Macron, passando per Hollande, la linea della politica estera francese, per lo meno nel Nord Africa, è rimasta immutata, “con la barra dritta verso l’interesse nazionale”, anche incorrendo in qualche errore, da cui però sembra sempre riemergere come un’araba fenice dalle proprie ceneri. Una lezione che l’Italia dovrebbe tenere bene a mente se vorrà “fare pace” col suo interesse nazionale e guadagnarsi il suo “posto nel mondo” o, almeno, nel Mare nostrum che pare sempre più il “Mare degli altri”.