Può essere giornalisticamente onesto, domenica 5 gennaio 2020, titolare un editoriale “Caos Medio Oriente/ L’impotenza dell’Europa allarga il solco con l’America”. Ma diventa politicamente disonesto se – sullo stesso quotidiano, nella stessa  posizione –  domenica 18 agosto 2019 lo stesso editorialista premeva per il ribaltone di governo in corso a Roma con questo slogan: “Bisognerebbe battezzare questa necessaria coalizione filo-europea ‘Orsola’, cioè la versione italiana del nome della nuova presidente della Commissione europea”. Se poi il columnist in questione non è un giornalista ma un ex premier ed ex presidente della Commissione Ue come Romano Prodi, è davvero difficile trattenere la matita blu. Possibile che venti settimane fa Prodi tirasse per la giacca gli italiani (a cominciare da quello che risiede al Quirinale) pur di licenziare la Lega dal governo e oggi si stracci le vesti di fronte al silenzio grottesco di Ursula von der Leyen (e di Angela Merkel e di Emmanuel Macron)?



Le lacrime di Prodi appaiono in fondo più gravi dell’“irritazione” (grave ma non seria, chioserebbe Ennio Flaiano) che viene attribuita al premier Giuseppe Conte: per essere stato tenuto all’oscuro dagli Usa dell’operazione Soleimani. “Siamo delusi Europa”, ha commentato il segretario di Stato Mike Pompeo. È lo stesso braccio destro di Donald Trump che ha reso visita a Conte 2 a Roma appena cento giorni fa: appositamente – si è appreso poi – per discutere questioni di intelligence, sul crinale sempre scivoloso fra diplomazia e politica. Il “dossier Milfsud” era stato aperto giusto a metà agosto, quando il ministro della Giustizia americano, Joseph Barr, era sbarcato a Roma per incontrare i vertici dei servizi di sicurezza italiani, con il solo assenso di Conte 1 già di fatto dimissionario. Pochi giorni dopo a Conte – già alfiere del governo Orsola – arrivava il celebre tweet-endorsement di Trump.



Oggi gli spin doctor di palazzo Chigi hanno evidentemente consigliato Conte di atteggiarsi a Bettino Craxi nei giorni di Sigonella. Ma fra tre giorni nei cinema italiani arriverà un atteso biopic sull’ex premier socialista: la storia di un leader europeo che per essersi opposto per davvero all’America è ancora sepolto fuori Italia, fuori Europa, a vent’anni dalla morte.

Poco lontano da Hammamet – a un pugno di miglia dalle coste siciliane – la Libia sta diventando un focolaio di “guerra mondiale” forse più pericoloso dello scacchiere mediorientale. La cosa ha reso giustamente pensoso, sulla prima pagina di Repubblica di ieri, il Fondatore Eugenio Scalfari: nato pochi anni dopo la guerra italo-turca che aveva assicurato all’Italia l’influenza sulla Libia in funzione anti-francese. Ed era già lucido sermonista domenicale – Scalfari – quando nel 2011 la Francia di Nicolas Sarkozy ha scatenato – assieme agli Usa di Barack Obama – una “guerra mondiale” contro la Libia di Gheddafi, avendo fra gli obiettivi anche lo sradicamento della strategica presenza dell’Eni italiana nella regione. E fra gli effetti collaterali per l’Italia – oltre a una lunga recessione-depressione innescata via spread – vi è stata anche l’apertura del canale di Sicilia al traffico di esseri umani dall’Africa in Europa (anzi: in Italia).



Adesso il cuore di Scalfari appare sommamente inquieto: “Sulle sponde del Mediterraneo si deciderà il nostro destino”. Ma nel sermone non c’è neppure una parola sul fatto che il Parlamento italiano si stia accingendo a mandare a processo – su richiesta della magistratura – un ex ministro dell’Interno per atti compiuti dell’esercizio delle sue funzioni a tutela della sicurezza nazionale nel canale di Sicilia. Nel frattempo una cittadina tedesca – figlia di un ex ufficiale delle forze armate tedesche – è stata subito rilasciata dagli stessi magistrati e non sarà mai processata dopo aver violato con la forza i confini italiani (europei) e danneggiato una nave militare italiana. “Forza Capitana”, strillava lo scorso giugno la prima pagina di Repubblica. In quei giorni la “Capitana in capo” della Bundeswher era il ministro della Difesa nel governo Merkel. Si chiamava Ursula von der Leyen. E appena tre giorni dopo l’attacco di “Carola” a Lampedusa, “Orsola” veniva nominata presidente della Commissione Ue. Grazie anche a una sorta di “voto di scambio” promosso da Conte (“ad insaputa” degli europarlamentari M5s, ma forse di tutti gli italiani) e fra le lacrime di felicità di Scalfari.

P.S.: Su l’Espresso di ieri – in allegato a Repubblica – si poteva leggere in un titolo: “Quando gli Usa scaricarono BETTINO / L’incontro fra il presidente bush e falcone a Roma. E il colloquio segreto fra cuccia e il leader Psi. Così, fra il 1989 e il 1990, si preparò la fine della prima repubblica”. Tutte le maiuscole e le minuscole – anche quelle palesemente in contrasto con la grammatica italiana e internazionale – sono fedelmente ricopiate dall’originale del settimanale co-fondato da Scalfari nel 1955.