Violenti scontri si sono verificati nei giorni scorsi a Tripoli, circa una dozzina le vittime tra cui anche alcuni civili, sembra anche dei bambini. Non è neanche chiaro chi sia stato il protagonista dei combattimenti, se non che quanto accaduto è la descrizione del caos totale in cui ormai si trova la Libia, abbandonata dall’Occidente e in mano a russi e soprattutto turchi, come ci spiega in questa intervista il generale Marco Bertolini, già comandante del Comando operativo di vertice interforze e della Brigata Folgore in numerosi teatri di guerra, dalla Somalia al Kosovo e all’Afghanistan. Una situazione in bilico per anni, sfociata anche in guerra civile, e poi in una fragile tregua che doveva portare a quelle elezioni che si dovevano tenere prima di Natale dello scorso anno e che non si sono tenute.
In questo quadro, ci spiga Bertolini “il primo ministro Dbeibah, che doveva rimanere in carica fino alle elezioni, mantiene la leadership di Tripoli mentre si oppone a lui l’ex ministro degli Interni Bashagha che ha dietro il generale Haftar. È chiaro che non ci sono le condizioni per poter gestire la vita sociale e soprattutto economica e le tante milizie che da sempre abitano il Paese stanno prendendo il sopravvento”.
Si torna a combattere per le strade di Tripoli. La Libia è un Paese nell’anarchia totale ormai da tempo, secondo lei chi ci può essere dietro questi nuovi scontri?
Tripoli è ormai quasi sotto controllo delle milizie che solo Gheddafi era riuscito a tenere in pace e lontane dal potere. Queste milizie sono anche in lotta fra di loro, per cui questo episodio può avere mille ragioni a noi sconosciute. Avevano raggiunto una sorta di compromesso, che è svanito con la farsa delle elezioni mancate, adesso l’unica cosa che le tiene insieme è l’opposizione ad Haftar. Le milizie di Misurata sono quelle che hanno più voce anche perché appoggiate dai turchi. La situazione però se non si sblocca dal punto di vista politico è solo destinata a trascinarsi così, con combattimenti estemporanei e con una popolazione che sta naufragando nella povertà e nella fame.
Lo scontro ufficialmente è tra il primo ministro incaricato di portare il Paese al voto, Dbeibah, che avrebbe dovuto dimettersi e l’ex ministro degli interni Bashagha che si è auto nominato suo successore. La domanda che viene da farsi è che fine abbia fatto l’occidente che si era posto come mediatore.
L’unico ruolo che ha avuto l’Europa in Libia è stato quello di destabilizzarla con la caduta di Gheddafi. Dopo di questo si è astenuta da ogni intervento significativo. C’era un interesse francese, che è andato via via scemando, mentre intanto la Turchia si è allargata. Va ricordato che è grazie a Erdogan se Tripoli non è caduta nelle mani di Haftar.
Appunto, Erdogan. Anche in Libia fa il suo abituale doppio gioco, un piede nella Nato e l’altro nei suoi interessi?
La Turchia è un Paese orientale come mentalità e cultura, però è anche fortemente occidentale. È uno dei soci fondamentali della Nato. Erdogan sa che si può permettere di interpretare il suo ruolo con grande autonomia perché è comunque importante per l’Occidente. Ha i suoi interessi nazionali come riferimento assoluto e tutto il resto ruota attorno a questo.
È anche capace di mantenere un rapporto costruttivo con la Russia, nonostante i due paesi si dividano la Libia, è così?
Erdogan è molto preoccupato che gli venga a mancare un socio in affari come Putin. I due mantengono un rapporto strategico anche se sono su fronti opposti sia in Libia che in Siria. Non si pestano i piedi a vicenda, e Ankara ha una visione dei propri interessi che prescinde dai rapporti con istituzioni come Unione Europea e Alleanza atlantica.
Meglio una Libia destabilizzata per lui?
In fin dei conti sì. Ricordiamoci che la Turchia è tornata nella Libia da cui era stata cacciata dagli italiani nel 1911, grazie a noi italiani e al resto dell’Occidente. Ha dato una contributo risolutivo a Tripoli e sfrutta questa posizione. Guardiamo la realtà: Erdogan ha costruito un impero che va dalla Libia al Kurdistan all’Azerbaijan passando per la Siria. Nonostante questo bisogna tenerselo buono, è lui l’unico leader al mondo a svolgere un ruolo attivo di mediatore tra Ucraina e Russia.
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