Una figuraccia. “È uno dei punti più bassi toccati dalla diplomazia italiana” commenta Michela Mercuri, analista di politica internazionale, esperta di Libia.
Breve riassunto. Ieri a Roma Conte vede Haftar ma non Serraj: il leader di Tripoli, capo del governo di accordo nazionale libico, all’ultimo momento rinuncia a partire per l’Italia quando sa che il presidente del Consiglio italiano sta incontrando il generale Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica e capo delle milizie che assediano Tripoli. “L’Italia non è riuscita a organizzare correttamente l’incontro” scrive l’Agi, che riporta le parole di Lev Dengov, capo del gruppo russo di contatto: “Molti punti non sono stati discussi con entrambe le parti”.
Un incidente di percorso? Nel pomeriggio Repubblica, in attesa del doppio incontro, parla di una “svolta che vede Roma come capitale della diplomazia nella crisi libica”, poi commenta: “l’Italia ha provato a riprendere un ruolo di mediazione nella crisi libica. Ma il tentativo non è riuscito”. Più europeista la ricostruzione dell’Huffington: “Il tentativo europeo, favorito dall’attivismo di Putin, di riportare nelle mani italiane la gestione della crisi libica crolla miseramente davanti all’inimicizia di Haftar e Sarraj”.
Forse la realtà è molto più semplice. Conte ha provato, con un’astuzia maldestra di corto respiro, di ovviare all’irrilevanza politica dell’Ue e dell’Italia intestandosi il cessate il fuoco chiesto da Erdogan e Putin durante il bilaterale di Istanbul. Non sempre i bluff riescono.
“Putin e Erdogan hanno ottenuto ciò che l’Ue e l’Italia non sono riusciti a produrre in anni di vertici” spiega Mercuri al Sussidiario. All’assenza di una politica estera da parte dell’Italia, va poi aggiunta l’inettitudine: “Se l’Italia fosse rimasta accanto a Serraj, avrebbe avuto un potere negoziale con tutti gli alleati di Haftar”.
Conte incontra Haftar, ci hanno detto le agenzie, poi vedrà Serraj, anzi no: l’incontro salta.
È uno dei punti più bassi toccati dalla diplomazia italiana. Se tutti abbiamo sperato fino all’ultimo che l’Italia avesse davvero una strategia per la Libia, magari concordata con l’Ue, sul più bello siamo stati smentiti dai fatti.
Cosa può essere accaduto?
L’Italia ha bluffato, nascondendo a Serraj che Haftar era nella capitale.
Cosa resta di questo doppio summit mancato?
Il fatto che Haftar sia venuto a Roma ci pone davanti a un’evidenza fondamentale: l’Italia, per ovvie ragioni, si sta allontanando da Serraj, sempre più vicino alla Turchia. Dovremo iniziare a immaginare un’Italia sempre più allineata con Haftar, confinata in un ruolo marginale.
Nel frattempo Putin e Erdogan hanno aperto la valvola del Turkish Stream e hanno chiesto il cessate il fuoco in Libia. Putin come sponsor di Haftar, Erdogan come alleato di Serraj.
Era assolutamente prevedibile che Turchia e Russia raggiungessero un accordo sulla Libia. Quello di Mosca è stato un incontro rapidissimo, segno che i due leader avevano concordato da tempo una linea comune.
Cosa rappresenta politicamente il cessate il fuoco?
Un passo che garantisce a Turchia e Russia un ruolo predominante nel paese, soprattutto perché Putin e Erdogan hanno ottenuto ciò che l’Ue e l’Italia non sono riusciti a produrre in anni di vertici.
Quanto hanno pesato gli interessi economici in essere tra Turchia e Russia?
Ci sono, sono importanti e vanno ben oltre il quadrante libico: dai missili russi S400 forniti ad Ankara, al TurkStream inaugurato oggi.
Lo stop alle armi durerà?
È evidente a chi conosce la Libia che la tregua potrebbe non essere rispettata da altri attori presenti nel teatro libico, come i gruppi di Misurata o le tribù del Fezzan, che non rispondono né a Mosca né ad Ankara. Resta il risultato politico.
Alla luce del cessate il fuoco chiesto da Putin ed Erdogan, che senso assume l’azione del governo italiano?
Ritardataria e inutile nella sostanza. La soluzione alla crisi libica è stata decisa in via bilaterale da Russia e Turchia. La Russia supporta da mesi l’avanzata di Haftar attraverso i contractor della Wagner, la Turchia ha fornito armi a Serraj e probabilmente ha già trasferito molti militari in Libia.
Qual è l’obiettivo di Erdogan?
La Turchia vuole riavere un ruolo strategico in tutto il Nordafrica esportando il modello turco, rafforzare la fratellanza musulmana tripolina e mettere le mani sulle risorse energetiche del Mediterraneo, che intende accaparrarsi attraverso la Zona economica esclusiva (Zee) il cui memorandum è stato firmato con Tripoli.
E gli obiettivi di Putin?
La Russia va a riempire gli spazi lasciati vuoti dagli Stati Uniti o da altri attori internazionali, e vuole un porto in Cirenaica.
Perché l’accordo tra Mosca e Ankara è determinante?
Perché i loro rispettivi interessi, nazionali e definiti, convergono. Il problema dell’Unione Europea in questo frangente è quello di non avere un interesse comune: quelli di Francia, Germania e Italia sono divergenti.
La nuova politica libica della Turchia è in qualche modo legata all’iniziativa degli Usa contro l’Iran e più in generale a quanto sta accadendo in Medio oriente?
No, la Turchia non aveva bisogno di nessun “nulla osta” americano per entrare in Libia “boots on the ground”. E poi il piano di Erdogan è di molto antecedente alla mossa di Trump. Al massimo la Turchia ha sfruttato il vuoto lasciato dall’Italia. È questo il nostro più grande errore: se l’Italia fosse rimasta accanto a Serraj, avrebbe avuto un potere negoziale con tutti gli alleati di Haftar.
Tra martedì e mercoledì Di Maio è stato a Bruxelles, Istanbul, Algeri, Il Cairo. Come valuta l’attivismo del ministro degli Esteri?
Senza una strategia politico-diplomatica questi viaggi rischiano di essere soltanto una perdita di tempo.
Dov’è finita la Francia? Non era Parigi a controllare Haftar?
Va detto che nemmeno la Francia è stata incisiva negli ultimi mesi e come risultato i suoi spazi, lasciati vuoti, sono stati riempiti dalla Russia. Parigi è in difficoltà e lo si è visto chiaramente dopo il bombardamento del centro di addestramento militare a sud di Tripoli. Il Quai d’Orsay, così vicino ad Haftar, non è stato neppure capace di firmare una risoluzione di condanna.
Anche la Francia ha perso la Libia?
Sì. Proprio la Francia, che aveva voluto l’intervento internazionale nel 2011 per eliminare Gheddafi e mangiare la torta libica, nella migliore delle ipotesi si dovrà accontentare delle briciole.
Dopo gli errori del governo Conte Eni ha un futuro in Libia?
Eni ha una propria diplomazia parallela e dialoga fin da prima di Gheddafi con gli attori locali. Fino ad oggi è riuscita a portare avanti la sua operatività. Però lo scenario non è promettente: la Zee tra Turchia e Libia esclude la sovranità di Cipro e i diritti di esplorazione di Eni e Total sarebbero ridotti.
Lei cosa prevede nel breve e nel medio termine?
Nel brevissimo periodo è facile preconizzare due zone di influenza: la Tripolitania sotto controllo turco, con Erdogan che si sostituirà a Serraj nella gestione del conflitto e nel controllo dei migranti, e la Cirenaica sotto controllo di Russia, Egitto ed Emirati. L’instabilità libica però non ci garantisce che questo accordo potrà reggere, soprattutto perché è dai tempi di Gheddafi che il Fezzan continua a sfuggire a qualunque controllo.
(Federico Ferraù)