Il summit Onu di Berlino sulla Libia ha trovato convergenti gli attori “esterni” del conflitto sull’idea di convincere quelli “interni”, cioè Haftar (agente di Arabia, Emirati, Egitto e Francia) e al Sarraj (sostenuto dal Qatar e dalla Turchia), a confermare una tregua duratura e ad accettare una soluzione politica della guerra civile formando un governo unitario. Inoltre, le potenze esterne si sono impegnate a non interferire con questo progetto di “autonomia libica”. Tutto bene?



Da un lato, l’accordo tra le potenze esterne, tra cui quelle che siedono nel Consiglio di sicurezza dell’Onu, è una pressione condizionante per i contendenti interni. E ciò potrà rassicurare temporaneamente gli attori economici al riguardo di un aumento dei prezzi energetici con conseguenze sistemiche. Dall’altro, è improbabile che la pacificazione della Libia possa avvenire secondo il modello abbozzato a Berlino perché la stabilizzazione richiede la vittoria netta di un leader forte con il potere sufficiente per controllare almeno 200 tribù, ciascuna armata, con bastone (deterrenza) e carota (soldi). Così come è improbabile che la Turchia rinunci alla sua proiezione di potenza nel Mediterraneo, che Arabia ed Emirati rinuncino al controllo del petrolio libico che stanno perseguendo da decenni per consolidare il potere dell’Opec di fissare i prezzi e che lascino uno spazio politico ai nemici “Fratelli musulmani”, distrutti in Egitto con un golpe, e ancora vivi nella fazione che sostiene al Serraj, in Tunisia nonché in Turchia.



Infatti, molti attori di mercato e analisti – tra cui chi scrive – avrebbero preferito la vittoria rapida di Haftar sotto il controllo di Arabia ed Egitto entro un accordo di stabilizzazione locale con l’Ue con esito regionale che avrebbe tolto spazio all’aggressività turca. Ankara, invece, se lo è preso scambiando il soccorso ad al Serraj con un trattato che definisce un’area esclusiva turco-libica di sfruttamento energetico dei fondali del Mediterraneo orientale, interferendo con quelle di Cipro, Grecia, Egitto ed Israele. Ankara vorrà certamente difendere questo trattato – che dà vantaggi indiretti a Mosca – mantenendo un’influenza sulla Libia.



Ciò lascia la sensazione che alla complessità del caso libico si sia aggiunto un rischio di conflitti più gravi nel Mediterraneo a causa dell’espansionismo turco. Pertanto la stabilizzazione della regione dipende dalla capacità di Italia e Ue di far rientrare la Turchia nei suoi confini.

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