Un incontro a sorpresa di Erdogan a Tunisi con il presidente tunisino Kais Saied. Al centro del colloquio la situazione della vicina Libia. Lo si è saputo dall’agenzia di stampa turca Anadolu. “Abbiamo discusso dei passi da compiere per un cessate il fuoco e un ritorno a un processo politico in Libia” ha detto Erdogan. Ieri mattina c’è stata anche una telefonata di Di Maio con il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, nella quale i capi delle due diplomazie hanno parlato della prossima conferenza di Berlino dedicata alla Libia.



La politica dunque non si ferma. Sul campo, invece, “la situazione è quella degli ultimi mesi, con una guerra di logoramento che coinvolge da un lato le milizie vicine al governo di Al Sarraj e dall’altro l’esercito di Haftar” dice al Sussidiario Mauro Indelicato, giornalista, esperto del dossier libico. Indelicato scrive per ilgiornale.it ed è direttore di infoagrigento.it



Con quali progressi?

Entrambi rivendicano avanzamenti, tutto sommato però a regnare lungo i fronti è lo stallo seppur con qualche successo degli uomini di Haftar.

Il viaggio di Erdogan a Tunisi e la telefonata Di Maio-Lavrov?

I movimenti diplomatici di queste ore dimostrano che tra i principali attori internazionali impegnati nello scacchiere libico c’è un forte interesse ad accelerare sul dossier. In un senso o nell’altro, tutti vogliono al più presto mettere il cappello sulle ultime novità in senso politico.

Erdogan?

Vorrebbe poter contare su più alleati nella regione e la visita in Tunisia segna il tentativo di porre Tunisi al fianco di al Serraj.



E l’Italia?

Aspira a porsi come principale mediatrice europea e a spianare la strada alla conferenza di Berlino, da qui i contatti con Mosca. L’impressione è quella di essere di fronte ad una generale corsa contro il tempo.

Qual è il destino di Tripoli allo stato delle cose? Essere detonatore di una crisi o piuttosto congelarla in un accordo?

Il destino della capitale libica al momento sembra segnato dalla guerra, anche per i prossimi mesi. Tripoli è una città sempre più immersa nel conflitto, non c’è un singolo abitante che non ne sia coinvolto. Tuttavia esistono ancora dei margini di speranza per evitare che la situazione degeneri ulteriormente.

È una speranza che ha qualche fondamento?

In teoria sì, perché a nessuno conviene che Tripoli diventi perno di una guerra su larga scala. Per questo, in ambito internazionale, si sta lavorando ad un accordo tra i vari attori internazionali impegnati sul campo, sia a livello militare che politico.

Dunque il rischio c’è.

Il rischio che Tripoli diventi fulcro di un conflitto su larga scala è reale. Ma sia gli sponsor di Al Sarraj, Turchia in primis, che quelli di Haftar, Russia ed Emirati tra tutti, non hanno interesse che un’evenienza del genere possa realmente capitare. Vorrebbe dire mettere in discussione i vari equilibri regionali, già pericolosamente precari.

Dove eravamo quando Erdogan parlava con Serraj?

L’Italia è stata risucchiata dalle sue beghe politiche interne ed abbiamo trascurato gli eventi che accadevano in Libia. Così come accaduto lo scorso 4 aprile, quando Haftar ha lanciato l’operazione per la presa di Tripoli, anche in occasione dell’accordo tra al Serraj ed Erdogan siamo stati colti di sorpresa.

Serraj ha detto di avere chiesto aiuto all’Italia, armi in particolare, ma di non avere avuto risposta. Qual è la tua lettura?

È vero che l’Italia ha trascurato il dossier libico ed è vero che Roma ha tante colpe per aver capito in ritardo quanto stava accadendo a Tripoli sul fronte politico. È pure vero però che al Serraj dimentica che l’Italia mantiene, ben esposti al fuoco delle bombe di Haftar, 300 militari a Misurata arrivati lì nel 2016 per supportare i combattenti anti-Isis.

Ed è un contributo rilevante?

Sì, senza dubbio. Questi soldati, assieme al personale che in questi mesi sta continuando a lavorare all’interno della nostra ambasciata a Tripoli, hanno sempre rappresentato una legittimazione politica importante per al Serraj, a dispetto invece delle ambiguità di altri attori europei ed internazionali. Il premier libico ha molto poco da recriminare verso di noi.

Allora perché ha fatto quelle dichiarazioni?

È stato semplicemente attratto dalle molte promesse di Erdogan e dal fatto che ad Ankara hanno messo sul piatto aiuti considerati più concreti. Non è un bel segnale per l’Italia certamente, ma lo stesso al Serraj non esce più forte da questo accordo. Anzi, in Tripolitania in tanti hanno iniziato a guardare con sospetto ad una possibile trasformazione di Tripoli in un protettorato turco.

È possibile rimediare alla nostra attuale marginalità politica in Libia?

Siamo molto in ritardo e, come detto, siamo colpevolmente rimasti fuori per mesi. Tutto è possibile, anche perché abbiamo comunque un know how che tanti altri paesi non hanno. Ma è una corsa affannosa, l’ennesima che dobbiamo purtroppo affrontare in Libia.

A chi ne vanno attribuite le responsabilità?

All’intera classe politica, incapace di mettere sul tavolo una strategia a lungo termine in politica estera. Cambiano i governi, ma il nostro problema rimane quello della marginalizzazione della politica estera all’interno del dibattito politico.

Ma ci sono responsabilità più prossime per le ultime vicende?

Sì ed è chiaro che vanno addossate agli ultimi due ministri degli Esteri: Enzo Moavero Milanesi ha pagato il fatto di non essere un politico, Luigi Di Maio invece sconta il fatto di essere fin troppo politico e non potersi dedicare a pieno al suo mandato da titolare della Farnesina.

Quali devono essere, oggi, gli obiettivi minimi dell’Italia in Libia?

Preservare i nostri interessi nazionali: energia, accordi economici ancora in vigore ed immigrazione. Speriamo di riuscire a mettere le mani almeno su questi dossier.

Intanto l’intesa Mosca-Ankara prefigura una suddivisione delle sfere di influenza che interessa non solo la Libia ma tutto il Mediterraneo orientale fino al Mar Nero. Gli Usa sono fuori gioco?

Donald Trump ha come priorità il contenimento della Cina. Le dinamiche mediterranee e mediorientali per gli Usa hanno sì importanza, ma non tanto quanto le dispute economiche con Pechino. Dunque, l’impegno degli Stati Uniti nell’area sarà indubbiamente ridimensionato.

Si va verso una suddivisione federale della Libia? O è prematuro parlarne?

Credo che potrebbe essere questa un’idea sul piatto dei prossimi incontri, è di questo che stanno discutendo diplomatici russi e turchi.

Quali sono le ripercussioni sull’Europa della soluzione russo-turca per la Libia?

L’Europa rischia di essere sempre più marginale. E questo, per la difesa dei rispettivi interessi dei vari paesi europei, potrebbe rappresentare un vero e proprio dramma. L’Italia lo ha capito, Francia e Germania provano assieme a Roma ad accelerare adesso la corsa. Ma potrebbe essere troppo tardi.

(Federico Ferraù)