Si è aperta non del tutto inaspettata una nuova crisi in Libia che potrebbe avere conseguenze anche tragiche. Il Parlamento libico, che ha sede nella città orientale di Tobruk, ha annunciato la nomina come nuovo primo ministro dell’ex titolare dell’Interno, Fathi Bashagha, che era rimasto l’unico candidato dopo il ritiro di Khalid al Baibas. La nomina non è stata considerata legittima né valida dall’attuale primo ministro, Abdul Hamid Dbeibah, che è a capo di un governo ad interim che opera da Tripoli. Dbeibah ha dichiarato di non avere alcuna intenzione di rinunciare al suo incarico.
“Non è nulla di nuovo in realtà, perché la Libia è da sempre spaccata in due. Ma quanto successo mette seriamente in crisi la stabilità del paese” ci ha detto in questa intervista Michela Mercuri, docente di Storia contemporanea dei paesi mediterranei nell’Università di Macerata ed esperta di Libia. Una crisi, ci ha detto ancora, “tutta interna, scatenata da personalità che vogliono ottenere il maggior potere possibile e che lascia confusi e fuori dai giochi anche i vari attori esterni, come Turchia e Russia, che stanno a guardare gli sviluppi per capire come riposizionarsi sullo scenario”. Un ruolo che tocca anche all’Italia, che deve solo pensare a mantenere i suoi interessi energetici senza fare mosse che potrebbero danneggiarla.
Come mai questa mossa da parte del Parlamento di Tobruk? Era nell’aria? Mostra ancora una volta l’impossibilità di una conciliazione fra le due parti del paese?
Il paese è spaccato in due: da un lato Bashagha, eletto ieri con un voto bulgaro dal Parlamento di Tobruk, e con l’assenza dell’esercito di Dbeibah, il che ci fa pensare come l’accordo fosse già stato stipulato in maniera sotterranea. Bashagha appare sostenuto anche dai misuratini e da alcune parti di Tripoli; dall’altro, Dbeibah è sostenuto dalla comunità internazionale. Un paese diviso tra Tripolitania e Cirenaica, dunque nulla di nuovo. Ma è un dato di fatto molto pericoloso per la stabilità del paese.
La popolazione continua a stare a guardare? Non è stanca di queste lotte? Non può o non vuole intervenire?
La popolazione è stanca e sfiduciata. Basti pensare che in migliaia si erano iscritti alle liste elettorali per il voto che non si è tenuto il 24 dicembre, e questo ci dà la cifra della disillusione popolare. Va anche detto che operano molte milizie e gruppi di potere, che continuano a fare affari illeciti, ad esempio con la tratta dei migranti, e che preferiscono questa instabilità, grazie alla quale possono guadagnarci, piuttosto che avere una leadership stabile. Questo è un altro elemento di instabilità che potrebbe portare al completo annullamento delle elezioni, adesso rimandate di 14 mesi.
Quanta colpa si può addossare agli accordi del febbraio 2021, mediati dall’Onu, che prevedevano che il Parlamento nazionale avesse sede a Tobruk, mentre il governo di unità nazionale operasse da Tripoli? Era impossibile fare altrimenti, pur sapendo delle tensioni che hanno sempre covato fra le due parti?
Il Parlamento si è trasferito a Tobruk nel 2014, in seguito alla guerra civile, mentre il governo è rimasto a Tripoli. In Libia ci sono sempre stati questi due organi distanti fisicamente e politicamente, sarebbe stato impossibile unirli o fare a meno di uno dei due. Per mantenere la stabilità l’Onu si è trovata costretta a mantenere questa separazione, che era prevedibilmente un ostacolo per l’unità di un paese da sempre diviso in queste due realtà.
La presenza di due primi ministri spingerà nuovamente la Libia in una situazione di caos e violenza come quella precedente agli accordi del febbraio 2021?
Se il buongiorno si vede dal mattino, sicuramente sì, basti pensare che prima dell’elezione di Bashagha c’è stato un attentato contro Dbeibah. Dobbiamo ricordare che Bashagha è vicino alle milizie di Misurata, che sono contro Haftar, è vicino all’esercito nazionale libico ed è vicino a molti attori dell’Est. E questo potrebbe spingere alcune milizie a compiere atti di guerra. D’altro canto, Dbeibah non è benvoluto da molte milizie e questo potrebbe portare a un ulteriore clima di guerra. Tutti questi elementi ci fanno pensare che il caos sia destinato a salire.
Turchia, Russia, Emirati Arabi ed Egitto cosa stanno facendo? Osservano? Spingono per la scissione?
È una crisi molto interna al paese e legata ai vari personalismi dei personaggi che vorrebbero vincere le elezioni. Questo è dimostrato dal fatto che Dbeibah vuole rimanere al potere, e che Bashagha si è avvicinato all’est del paese. In questo momento Turchia e Russia, paesi che hanno interessi importanti in Libia, sembrano avere un ruolo marginale rispetto alle dinamiche interne, stanno a guardare cosa succede in questa crisi tutta interna per vedere come riposizionarsi.
E l’Italia?
Posto che abbiamo tantissimi interessi in Libia, anche l’Italia è un attore che guarda dall’esterno a queste dinamiche interne. Il consiglio è di non indire conferenze passerella né fissare date per elezioni in un paese così destabilizzato. È necessario lasciare la palla ai libici, cercando di monitorare il processo interno e di portare avanti i propri affari, soprattutto sulle questioni energetiche. È importante muoversi per piccoli step.
(Paolo Vites)
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