La Brigata Al-Samoud guidata da Salah Badi, personaggio ben conosciuto da anni, tanto da essere nella lista nera delle Nazioni Unite, ha circondato militarmente la sede del governo di Tripoli costringendo il primo ministro del governo di transizione, Abdul Hamid Dbeibah, a fuggire e nascondersi. La Libia sprofonda di nuovo nel caos a una settimana dalle previste elezioni nazionali che dovevano, secondo le intenzioni europee, portare la stabilità tanto attesa nel paese nordafricano. Badi ha infatti dichiarato pubblicamente che “non ci saranno elezioni presidenziali”. Secondo il corrispondente di guerra de Il Giornale Gian Micalessin, da noi intervistato, “le elezioni, anche se non ufficialmente, di fatto erano già cancellate. Il comitato elettorale non ha infatti ancora chiuso la lista dei candidati”. Quello accaduto nelle ultime ore, ci ha detto ancora, “è un episodio che dimostra ancora una volta come la democrazia non sia una strada applicabile per portare la stabilizzazione a un paese che non ha mai conosciuto la democrazia”. Dietro questo colpo di mano, secondo Micalessin, “si celano formazioni che fanno capo ai Fratelli musulmani, e di conseguenza a Turchia e Qatar, formazioni che sarebbero uscite delegittimate dal voto”.
Colpo di mano inaspettato a Tripoli. La Brigata Al-Samoud ha circondato gli edifici governativi e ha dichiarato annullate le elezioni. A questo punto, comunque evolva la situazione, sembra impossibile, a una settimana dal voto, poter organizzare una elezione senza neanche campagna elettorale.
Di fatto le elezioni erano già saltate, la commissione elettorale le aveva rinviate sine die. Si era partiti col piede sbagliato.
Perché?
Questa volontà di tenere le elezioni è stato un eccesso di volontà di democrazia da parte di un Occidente che, come al solito, non tiene conto della realtà. Invece di portare una stabilizzazione, ha fatto di nuovo sprofondare il paese nel caos: lo avevamo già visto nel 2014, quando si era dato vita a un Parlamento che era stato disconosciuto dalle forze islamiste, provocando una serie di scontri armati. Si era parlato di elezioni nel dicembre 2018 e poi c’era stato l’attacco armato di Haftar, che aveva scatenato la guerra civile.
Insomma, impossibile votare in Libia?
Lo dicono i fatti. Adesso è saltato l’accordo provvisorio raggiunto dopo il cessate il fuoco. Il tentativo di portare la democrazia in un paese che non ha mai conosciuto la democrazia si è rivelato un fallimento.
È bastato un colpo di mano di uno dei tanti signori della guerra, Salah Badi, per far saltare tutto. Alla fine sono le milizie armate a contare di più in Libia?
I signori della guerra sono personaggi sfruttati da quelli che stanno dietro al grande gioco libico. Nel caso in questione tutto il mondo islamista che fa capo alla Fratellanza musulmana, alla Turchia e al Qatar. Il gioco delle milizie è un gioco di specchi dietro ai quali ci sono sempre i soliti personaggi. Una campagna elettorale che mette sul tavolo dei candidati come il figlio di Gheddafi la dice lunga. Se anche non avesse vinto, dimostra quanto peso ha ancora Gheddafi e soprattutto coloro che considerano Gheddafi meglio del peggio che è venuto dopo.
E se avesse vinto?
Una vittoria del figlio di Gheddafi sarebbe stata un’onta per quell’Occidente che lo ha lasciato morire e avrebbe significato gettare nel nulla undici anni di guerre e di morti. Il gioco democratico non è il modo migliore per portare stabilità nel paese.
E Haftar?
Anche un Haftar potrebbe avere una sua legittimazione da eventuali elezioni, molto di più di quella che potrebbero trarne i leader islamisti, che comunque in Tripolitania resterebbero una minoranza.
Quindi da questo colpo di mano Turchia e islamisti hanno tutto da guadagnare?
Ci guadagnano un po’ tutti. Sicuramente gli islamisti, che sarebbero usciti delegittimati dalle elezioni, ma anche la Russia, che non aveva alcun interesse a che si tenessero elezioni. La Russia, che stringe accordi con Tripoli e Bengasi, è tornata pesantemente in gioco nel settore petrolifero. Non aveva pedine da giocare con il voto e quindi meglio il rinvio. Il grande gioco di Mosca è trasformare i suoi contractors, che si trovano nel sud del paese, in guardie armate del petrolio russo nelle zone su cui esercitano il controllo.
Il grande sconfitto è l’Italia?
Neanche tanto. L’Eni continuerà a giocare il suo ruolo. Il problema principale, quello dei flussi migratori, resta invece un problema aperto.
(Paolo Vites)
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