Fresco di nomina da soli pochi giorni, il nuovo inviato speciale dell’Onu in Libia, il bulgaro Mladenov ha dato le dimissioni ufficialmente per motivi personali. “Questa notizia è una specie di bomba a orologeria” ci ha detto il generale Giuseppe Morabito, membro fondatore dell’Institute for Global Security and Defense Affairs (Igsda) e membro del Collegio dei direttori della Nato Defense College Foundation “perché lascia intendere che ci siano pressioni per sostituirlo con un nome gradito a una delle due parti in gioco. Di certo è che, come si dice nell’ambiente diplomatico, Mladenov non era gradito al governo Serraj perché considerato troppo vicino agli Emirati Arabi”. Cosa che sarebbe confermata dal giudizio negativo dato dalla Turchia alla sua nomina. Nel frattempo il parlamento turco ha votato in questi giorni il prolungamento di altri diciotto mesi della presenza delle sue forze militari in Libia, cosa che pone un serio problema ai tentativi di Serraj e Haftar nell’ambito di un accordo di unità nazionale che porti alle elezioni volute entro la fine del prossimo anno.



Come mai questa rinuncia improvvisa di Mladenov a solo pochi giorni dalla nomina?

Sono state date motivazioni personali, ma da voci che circolavano Mladenov non era ben visto dal governo Serraj perché considerato amico degli Emirati Arabi, sostenitori di Haftar. Questa la realtà del motivo delle dimissioni.

L’Italia può rientrare in gioco? Ha un nome forte spendibile?



È logico che l’Italia abbia un interesse personale a essere mediatrice principale della scena libica. Bisogna trovare però la persona che lo faccia, perché chi si mette in questo tipo di impresa rischia di bruciarsi per sempre. Le sue azioni potrebbero portarlo a bruciarsi la carriera se fallisce nel suo compito, cosa che abbiamo già visto accadere dato il livello di complicatezza del quadro libico.

Quali sono i principali fattori che mettono in crisi gli incaricati dell’Onu?

Il problema di riappacificare la Libia è innanzitutto un problema diplomatico, perché bisogna mettere intorno a un tavolo le varie diplomazie dei paesi coinvolti nello scenario, ma bisogna avere anche una capacità militare nel conoscere il campo, mettere insieme le parti armate così come i mercenari. Bisogna implementare delle regole per il controllo delle parti armate sotto l’ombrello della diplomazia. Ci sono nazioni che vengono da diverse estrazioni culturali, religiose e politiche. Paesi contrapposti nel mondo arabo, paesi membri della Nato e paesi che si oppongono alla Nato come la Russia. Bisogna poi trovare un giusto accordo con quella scheggia impazzita che è Erdogan.



C’è un italiano in particolare che le viene in mente?

L’Italia ha bravi diplomatici o ex militari ma bisogna trovare la persona che sappia mettere insieme queste due capacità, non è una cosa facile.

Potrebbero essere i francesi ad ambire a questo ruolo?

Il problema rimane lo stesso: lo Stato che presenta il candidato deve avere queste due capacità. Sappiamo chi ha interessi sul campo dal punto di vista economico così come dal punto di vista strategico. Certo è che questa rinuncia del bulgaro è una sorta di bomba a orologeria.

Tra l’altro il parlamento turco ha appena approvato la permanenza dei militari turchi in Libia per altri 18 mesi.

Questa non è una sorpresa, mi sarei stupito se fosse stato il contrario. Chi ha le carte in mano forza la mano. La Turchia poi ha contatti e amici anche dalla parte di Haftar, quanto meno per motivi religiosi.

E l’Unione Europea sembra sempre più tagliata fuori dal quadro.

L’Unione Europea non sembra tagliata fuori, è tagliata fuori per sua colpa. Teniamo poi conto che in questo momento gli Stati Uniti, alle prese con i passaggi di poteri presidenziali, non pensano certo alla Libia. L’incertezza è massima.