Almeno 32 persone sono rimaste uccise nei violenti scontri che hanno travolto Tripoli, la capitale della Libia, tra il 26 e il 27 agosto scorso. Per la terza volta le milizie agli ordini del premier designato dell’esecutivo di stabilità nazionale dalla Camera dei deputati di Tobruk, Fathi Bashagha, hanno cercato di rovesciare il primo ministro del governo di unità nazionale, Abdelhamid Dbeibah, fallendo ancora una volta nella loro missione. Questa volta però i combattimenti sono stati particolarmente violenti.
Come ci ha detto in questa intervista Michela Mercuri, docente di storia contemporanea dei paesi mediterranei nell’Università di Macerata ed esperta di Libia, “le milizie da una parte e dell’altra, senza contare quelle che agiscono per il sempre presente Haftar, hanno ormai in mano il pallino del gioco, mancando una figura autorevole a livello nazionale. Europa e Italia da quando è cominciata la guerra in Ucraina hanno completamente abbandonato l’agenda libica, e questo è un problema molto grave, perché la Libia è fonte energetica primaria per il nostro paese”.
I gruppi armati al seguito di Fathi Bashagha si sono ritirati dopo aspri combattimenti. È la terza volta che cerca di conquistare la capitale. È di nuovo guerra civile?
La situazione in Libia ormai è sfuggita di mano da parecchi mesi. Come ha detto, è la terza volta che Bashagha tenta di entrare a Tripoli, questo è sintomatico di una instabilità latente all’interno del Paese che potrebbe condurre da un momento all’altro all’esacerbarsi delle violenze. Questo dipenderà molto dal ruolo delle milizie che sostengono le due parti. Molte di quelle che hanno sostenuto Bashagha potrebbero abbandonarlo e il suo ruolo essere delegittimato.
Questo cosa comporterebbe?
Dobbiamo tenere conto del ruolo di un altro attore, Haftar, inizialmente vicino a Bashagha ma che adesso si è da lui allontanato. Secondo alcune fonti avrebbe contatti con Dbeibah. È una situazione in divenire, che dovrebbe essere controllata dalle istituzioni internazionali, se solo ritrovassero interesse per la Libia, del tutto espulsa dalle loro agende da tempo, soprattutto quella italiana, per evitare una nuova escalation e instabilità che si traduce in tante conseguenze per noi, non solo per l’evidente aumento dei flussi migratori, ma anche per la difficoltà nel reperire risorse per noi fondamentali quali gas e petrolio.
E Dbeibah? È ormai asserragliato a Tripoli, senza alcun controllo sulla Tripolitania? O da questi scontri esce rafforzato?
Dopo gli scontri di questi giorni sembra rafforzato, ma in realtà si tratta di una vittoria di Pirro. Dbeibah è asserragliato a Tripoli, non ha il controllo totale sulla Tripolitania, ma neanche a Misurata, e questo non ne fa un leader. Quanto sta accadendo ricorda quel che è successo, e che colpevolmente abbiamo dimenticato, all’allora premier libico Al Serraj, che non è mai uscito dalla base militare di Tripoli. Adesso le milizie di Dbeibah hanno vinto, ma sottolineo il termine milizie, perché quanto accadrà dipenderà da loro, quelle di Dbeibah, quelle di Bashagha sempre meno e quelle in campo libero, utili ad Haftar. È una situazione che non gioverà alla resistenza di Dbeibah a Tripoli, ma anche al suo ruolo di personalità di riferimento.
Questa situazione è dovuta al fatto che dal 24 febbraio scorso l’Occidente si è concentrato sull’Ucraina? La Libia è stata abbandonata nel caos?
Non c’è dubbio, ci siamo concentrati su Kiev voltando le spalle alla Libia. La politica estera non può essere unilaterale, ma deve guardare a più scenari. Quello libico in particolare è legato a quello ucraino in termini energetici. Con la crisi energetica provocata dalla guerra in Ucraina il Mediterraneo e il Nordafrica potevano tornare a essere nuovi fornitori di energia per l’Italia, ma mettere la Libia in un angolo, paese che ha un gasdotto che ci collega direttamente, lasciandolo in mano alle milizie senza fare nulla, non ci giova certo. Mi auguro che il prossimo governo possa risolvere la faccenda, rimettendo in cima alla propria agenda la Libia. Da quello che succede dipendono conseguenze non solo in termini di migrazione e di terrorismo, ma anche dal punto di vista energetico.
Bashagha conta sull’appoggio di Russia, Egitto e Francia, ma soprattutto la Russia ha interesse a destabilizzare la Libia, è così?
No. È vero che questi Paesi hanno puntato su Bashagha, e nel momento in cui perderà importanza troveranno un altro leader per tutelare i propri interessi. Ma la Russia non ha intenzione di destabilizzare la Libia, perché vi intrattiene affari e ha delle basi, così come anche la Turchia. Vorrei sfatare un mito: non credo sia veritiera la notizia circolante da tempo che sia la milizia Wagner a spingere i migranti a partire per influenzare le elezioni. La realtà è diversa, l’aumento di partenze è dovuto al fatto che Haftar, quando si sente alle strette, non esita a farci ricordare la sua presenza e influenza. Lo ha fatto quando ha rapito i nostri pescatori e lo rifà ogni volta. Lo sta facendo adesso aumentando le partenze dalla Cirenaica che lui controlla, anche se va detto che in questo momento la maggior parte delle partenze provengono dalla Tripolitania.
C’è dell’altro che ci sfugge?
C’è un elemento che potrebbe essere importante. La Libia ultimamente è territorio in cui si verificano delle scaramucce non ben chiarite tra Usa e Russia. Un drone americano che faceva ricognizione è stato abbattuto recentemente, e questa volta quasi sicuramente da parte della milizia Wagner. Un episodio che ha creato ulteriori tensioni.
In questo quadro, petrolio e gas oggi così necessari per l’Italia sono ancora disponibili o sono a rischio?
È una formula matematica: maggiore è l’instabilità di un Paese e minori sono le possibilità di fare affari, perché manca un interlocutore serio. Manca oggi in Libia un chiaro attore istituzionale. Lo abbiamo visto in questi giorni: la palla è in mano alle milizie, che aprono e chiudono i pozzi di petrolio e gas per ricattare Italia ed Europa. Il gasdotto libico cui accennavamo prima ha una portata di circa 20 miliardi di metri cubi l’anno, ma quest’anno ne ha portati solo 4 miliardi, perché le milizie controllano i rubinetti. Le forniture sono tanto più a rischio quanto la situazione interna diventa instabile.
Quali sono le prospettive?
È necessario intavolare una trattativa tra i due leader per un nuovo percorso che preveda elezioni o difficilmente la Libia potrà considerarsi un Paese stabile. Credo che nessuno dei due attuali leader potrà rappresentare il futuro, ci sono altre figure che potrebbero svolgere questo ruolo. Ma è necessario giungere a un cessate il fuoco e a una trattativa, altrimenti si rischia che il risultato di possibili elezioni venga capovolto dalle milizie del leader che uscirà sconfitto dal voto. È un lavoro immenso, quanto obbligato, che l’Italia deve affrontare.
(Paolo Vites)
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