Antonio Gramsci nelle sue Note sul Machiavelli affermava che quando i partiti perdono il loro insediamento sociale, le loro basi storiche, cadono in una crisi profonda che ha come suo primo effetto concreto la perdita dei legami con la società civile, la dispersione dei loro gruppi dirigenti. Sono così sottoposti alle pressione di ristrette congreghe, di comitati di affari e soprattutto subiscono più che mai le pressioni di forze extra-nazionali che perseguono i loro interessi prevalenti così annichilendo l’interesse prevalente nazionale che ogni partito con radici storiche e gruppi dirigenti come comunità di destino invece personificano, rappresentano, difendono, rafforzano. Gramsci parlava, insomma, della funzione nazionale che ogni partito che si rispetti, globalizzazione o non globalizzazione, protezionismo o non protezionismo, porta in sé e sulla base della cui visione informa la sua lotta.



Il nesso tra la politica estera e la questione nazionale è sempre strettissimo. Un nesso che da tempo l’Italia ha perso, perché quegli storici legami son venuti meno e l’interesse prevalente nazionale è sostituito dalla lotta tra interessi prevalenti extra-nazionali. L’Italia è un esempio chiarissimo di questa teoria. Essa si realizza da qualche anno ogni giorno sotto i nostri occhi, ma mai era giunto a un così completo disvelamento come in queste ultime ore, in questi giorni. Il caso libico è un esempio di ciò.



Gli Usa mai abbandoneranno le sabbie e i fossili del Grande Medio Oriente. Lo shale oil e lo shale gas dureranno, infatti, solo ancora qualche anno e poi sempre si dovrà ritornare laddove risiede la fonte dell’energia mondiale, ossia in quel Grande Medio Oriente che ora vede un nuovo tentativo di ricostruzione degli imperi ottomano e zarista e nel mezzo una formidabile resistenza di una Francia imperiale, che imperiale è senza più avere i mezzi per sostenere la diplomazia migliore del mondo.

L’accordo temporaneo e con finalità diverse tra Russia e Turchia in Libia – sotto lo sguardo vigile tanto dell’Egitto come di Israele – e il revisionismo implacabile iraniano che solo trova dinanzi a sé la resistenza di una potenza nordamericana a cui tutti, l’Italia per prima e più che mai oggi, dovrebbero stringersi, è un’ altra dimostrazione di ciò. E un’altra dimostrazione di ciò è nell’insistenza di un’Europa che si presenta divisa tra nazioni distruggendo tutte le illusioni dei sostenitori di un impero a parole, che impero non è, non possedendo né una Costituzione, né un esercito, e che con un’insipienza infinita – quando non filo-iraniana – alimenta le teorie deboli e incapaci di trasformare la volontà in azione di un pacifismo altrettanto imbelle. Esso altro non è che l’illusione di un multilateralismo che sia in grado di frenare le spinte alla potenza delle nazioni che esistono oggi più che mai e che sono oggetto di innovativa ricerca di una nuova generazione di analisti e di studiosi di primissimo ordine.



Nulla di questo travaglio culturale pervade l’Italia, se non nelle menti di pochi colti e distaccati studiosi inascoltati e spesso derisi ideologicamente. Anche il mondo della business community è ammutolito e questo perché anch’essa ha perso quel legame con gli intellettuali e con le forze della libera cultura che sino a trent’anni orsono era la forza tutta italiana di un’impresa sia pubblica, sia privata tra le più avanzate al mondo: la stessa cosa accaduta ai partiti e di cui prima dicemmo, accade da tempo per essa e in essa.

Bastava comprendere che la Turchia andava affrontata a muso duro già nelle acque di Cipro, sostenendo la Grecia, facendo comprendere a Erdogan che il diritto marittimo va rispettato e che se è necessario per far sì che questa lezione sia compresa si possono anche condividere scoperte minerarie e zone di influenza, ma non cedere alle sirene di un pacifismo imbelle e di una diplomazia che non sa scegliere come non sa mediare.

Non l’adeguamento passivo al governo di turno, perdendo così la storica funzione che in politica estera come in politica interna appartiene alla burocrazia e alla tecnocrazia di uno stato legal-razionale di – ormai in Italia – weberiana memoria: solo più di weberiana memoria e non più di weberiana efficacia e di weberiana capacità di gestione. La mucillagine peristaltica divisa, accanitamente fibrillante tra le diverse fazioni, è pervasa da una scomposizione a frattali, a smottamenti quali mai s’erano visti prima.

Non è inconsueto che in questa situazione storicamente e sempre emerga il fascino dell’influenza di potenza, dal soft power alla pressione indebita dello Stato, della cultura autoritaria. Così come oggi è in questo povero campo di rovine: l’onnipresente e latente e anfibia e pervasiva quanto mai potenza di una Cina presente in ogni dove, anche in Libia, anche nel seno del Governo, sino a giungere a un nuovo, inusitato e tutto da studiare – superando ogni spavento – connubio specialissimo tra trono e altare quale mai prima sulle italiche sponde s’era visto, noi poveri untorelli “del Tevere e dell’oltre Tevere”.