Mario Mauro è stato ministro della Difesa nel governo Letta e vicepresidente Ppe del Parlamento europeo proprio durante la presidenza del socialista spagnolo Josep Borrell, attuale Alto rappresentante per la politica estera europea nella Commissione von der Leyen alle prese, in queste ore, con i delicatissimi dossier di Libia e Iran. “I due scenari di incontrano – dice Mauro – e si sommano con effetti nefasti. Le conseguenze dell’uccisione di Soleimani si estendono oltre il Golfo Persico, nel Mediterraneo, in Siria e in Libia”.
Come?
Ad esempio mettendo in ombra la crisi libica in attesa delle mosse iraniane. Oppure, e questo ci riguarda più direttamente, lasciando di fatto maggiore libertà d’azione alla Turchia nell’inserire truppe regolari a sostegno di Serraj. E alla Russia di muoversi in modo più aggressivo. Direi però che la sintesi perfetta l’ha fatta l’ammiraglio De Giorgi.
Capo di stato maggiore della Marina quando lei era ministro. Ci dica.
“Mai come oggi la Turchia rappresenta un competitore temibile per la sua forza militare e il suo dinamismo, in grado di muoversi autonomamente e talvolta in modo antitetico agli interessi degli Usa” ha detto De Giorgi.
E per quanto riguarda l’Italia?
Cito ancora: “Mai come ora l’Italia appare sola e debole, non attrezzata a proteggere i propri interessi nazionali, senza lo scudo americano e in assenza di un contesto multilaterale in cui trovare rifugio e direzione politica”.
La riunione di emergenza di ieri a Bruxelles?
Scialba e inconcludente. Era inevitabile che fosse così.
E dire che c’erano i ministri degli Esteri dei più importanti paesi europei.
Invece di muoversi all’unisono hanno come al solito preferito affidare all’Alto rappresentante della politica estera europea di turno, lo spagnolo Borrell, parole tanto prudenti da sembrare insignificanti.
Dall’uccisione di Soleimani all’assedio di Tripoli. Lei ha detto che le due crisi si tengono. Ci spieghi meglio.
La Turchia di Erdogan rischia di essere la sola beneficiaria dell’iniziativa statunitense, che ha privilegiato l’asse con l’Arabia Saudita nella determinazione degli equilibri del Golfo. Questa scelta ha un prezzo. Washington appare obbligata a concedere mano libera ad Ankara sulla Libia. Anche per mantenere saldi i rapporti con il secondo esercito della Nato.
Eliminare Soleimani è stato un errore?
Cosa avremmo detto se l’Iran avesse ucciso un generale americano? Qualcuno ha fatto giustamente notare che l’ultima volta che gli Stati Uniti hanno ucciso un generale straniero è stato nel’43, quando abbatterono nel Pacifico l’aereo dell’ammiraglio Yamamoto.
Usa e Giappone erano in guerra.
Vero, e in un certo qual modo anche Usa e Iran già lo erano prima del 3 gennaio. Adesso lo saranno ancor di più. Soleimani non era bin Laden. Aveva un preciso ruolo nell’apparato istituzionale della repubblica dell’Iran.
Quali conseguenze ci saranno nella regione?
Occorre aspettare e vedere che cosa farà l’Iran. Di sicuro gli Usa hanno posto le premesse migliori per alzare il livello dello scontro. L’azione contro Suleimani rappresenta un unicum che rischia di aprire le porte dell’anarchia, non solo nella regione.
Perché la Casa Bianca ha agito in questo modo?
Si scorge la volontà di lanciare un nuovo segnale di forza al rivale iraniano. Temo però che la partita sia interpretata da Trump sempre più come un braccio di ferro motivato forse dalla politica interna piuttosto che come una questione decisiva per la stabilità del Medio oriente.
Trump ha una strategia?
Se possiamo definire strategia quella che ha finora adottato nei rapporti internazionali, sì. Non ha mai impostato una continuità lineare nella gestione del dialogo, ha sempre alternato aperture e pugni di ferro.
Con quale obiettivo?
Quello di ribadire la posizione di forza giocata dagli Stati Uniti, più che ottenere un risultato diplomatico concreto. Pesano l’impeachment e la campagna elettorale per le presidenziali.
L’agenda interna.
Sì. E davanti all’escalation di tensioni che si era consumata in Iraq nei giorni precedenti tra Usa e milizie sciite, di cui l’Iran è considerato il manovratore, Trump ha usato l’operazione contro Soleimani per mettere, a modo suo, un punto fermo. Adesso si tratta solamente di attenderne le ripercussioni. Saranno ampie e qualcuno potrebbe avere sbagliato i conti.
Che cosa intende dire?
Potrebbero avere strascichi di portata più ampia rispetto al mandato concesso ed eventualmente rinnovato all’amministrazione Trump.
Quali saranno secondo lei le mosse dell’Iran?
La situazione economica e i conti pubblici rendono molto improbabile che Teheran pianifichi una campagna militare tradizionale contro le basi statunitensi in Medio oriente. Un conflitto aperto metterebbe a rischio la stessa sopravvivenza della repubblica islamica. È più probabile che l’Iran decida di rispondere creando instabilità là dove a pagarne il prezzo sarebbero gli Usa, dall’Afghanistan al Golfo Persico.
Teheran potrebbe anche riallacciare rapporti con organizzazioni terroristiche?
È un’ipotesi fondata.
Torniamo all’Italia e alla Libia. Da quello che lei ha detto, la Turchia è destinata a sostituirci. Quale sarà il destino dell’Eni?
Sarà determinante l’accordo stipulato tra Erdogan e Serraj, che hanno esteso la competenza delle acque nazionali libiche e turche a un arco di mare che taglia in due il Mediterraneo. Se Ankara, come è probabile, diventa determinante in Libia, impedirà all’Eni di svolgere la sua attività indipendente sia in Libia che nella porzione di mare che va dalla Libia a Cipro. Significa l’estromissione degli interessi italiani in tutta l’area sud del Mediterraneo e la nostra marginalizzazione definitiva.
Conte può ancora fare qualcosa?
Il modo con cui Conte ha cercato conforto nel magistero della Merkel ci dà la misura del contesto in cui opera il potere esecutivo in Italia. Mai come oggi l’Italia dei Craxi e degli Andreotti sarebbe chiamata alla ribalta, cioè ad esprimere una visione originale che dia il senso del tempo presente.
Ma i Craxi e gli Andreotti non ci sono più da tempo. Lei ne vede in giro?
Questo impone una riflessione sulla nostra politica, che è fatta di tanti protagonisti senza partiti. In questi anni abbiamo perseguito con tenacia l’idea che eliminare i partiti avrebbe favorito la partecipazione di personalità indipendenti; oggi capiamo che tali personalità sono impedite a perseguire qualsiasi obiettivo dal fatto che non rappresentano nulla e nessuno. Cioè sono politicamente irrilevanti.
Il destino della Libia?
È già deciso: nella visione americana, la Libia sarà turca. Nella visione russa, farà sponda con l’Egitto di al Sisi.
(Federico Ferraù)