Oggi il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese sarà a Tripoli, dove terrà incontri con i massimi interlocutori istituzionali del Gna e della città di Misurata per fare il punto su flussi migratori, lotta al terrorismo e modifiche al memorandum di intesa italo-libico. “La situazione sta peggiorando notevolmente e non solo per le rotte di provenienza libica” dice al Sussidiario Paolo Quercia, direttore del Cenass ed esperto di questioni strategiche. Secondo i dati del Viminale, il dato relativo ai primi 15 giorni del mese di luglio (2.756 sbarchi) è superiore ai dati dell’intero mese di luglio 2019 (1.969) e di luglio 2018 (1.831).
“O si ritorna a fare politica estera o saremo in continuazione sotto ricatto. Anche quello umanitario” spiega Quercia. “Per noi italiani la questione fondamentale è come salvare la statualità della Libia e la sua integrità territoriale ad ogni costo”. Quanto visto finora, purtroppo, non autorizza ad essere ottimisti.
Che rapporto c’è tra gli sbarchi che stanno avvenendo sulle coste italiane e la situazione interna della Libia?
Gli sbarchi sono solo in parte collegati alla Libia ed alla sua situazione interna. Lo sono divenuti anche per una non ottimale gestione del dossier libico negli anni passati, che ha fatto sì che si concentrasse nella Libia la questione migratoria, africana, medio-orientale e asiatica.
E il risultato è quello che vediamo.
Il dossier migratorio è divenuto innanzitutto uno strumento di ricatto sull’Italia, pur rimanendo uno strumento di tenue influenza italiana in Libia. Ma che il problema sia altrove è evidente. Quasi la metà di coloro che sbarcano sulle nostre coste sono cittadini tunisini o del Bangladesh.
Perché gli sbarchi di clandestini, diversamente da quanto accaduto nel 2019 e nel 2018, adesso non sono un caso politico?
Perché diversamente da allora il governo tiene la questione migratoria sottotraccia e perché l’opinione pubblica è ancora frastornata dai problemi del Covid e della crisi economica. Ma in realtà la situazione sta peggiorando notevolmente e non solo per le rotte di provenienza libica.
La sua previsione?
Nel mese di luglio 2020 avremo più sbarchi illegali del luglio 2018 e 2019 messi assieme.
Il ministro Lamorgese oggi sarà a Tripoli. Parlerà di flussi migratori e di modifica del memorandum d’intesa Italia-Libia del 2017. Cosa può dirci degli obiettivi di questa missione?
Una missione importante. È accompagnata dal generale Caravelli, il direttore dell’Aise, uomo di grande esperienza e profondo conoscitore della Libia. Il dossier libico tuttavia non può più essere gestito solo come un dossier migratorio o di sicurezza. L’Italia deve decidere di giocare seriamente la sua partita libica, che è una partita politica.
Questo che cosa significa?
L’Italia deve scegliere da che parte stare, mettere in campo i suoi strumenti ed affermare una sua politica complessiva per la pacificazione e ricostruzione del Paese e per il nostro ruolo nel Mediterraneo centrale. Ricordiamo che il memorandum del 2017 sulle migrazioni è un addendum del Trattato di amicizia del 2008, quello firmato tra Gheddafi e Berlusconi, che era un accordo a 360 gradi, ed è in teoria tuttora valido. O si ritorna a fare politica estera o saremo in continuazione sotto ricatto.
Intervistato dall’agenzia Nova, il ministro dell’Interno del Gna, Fathi Bashagha, ha affermato che la Libia “è stata lasciata sola di fronte ai flussi migratori illegali, costati enormi oneri finanziari”. E ha aggiunto che “l’Ue non ha ancora una visione chiara e unificata per combattere questo fenomeno”. Che ne pensa?
In un certo senso è vero. L’Unione Europea ha la grave colpa di essersi disinteressata troppo a lungo del problema delle frontiere dell’Africa subsahariana, lasciando proliferare le organizzazioni criminali e consentendo la creazione di autostrade di traffici illegali dall’Africa verso l’Europa.
Nova riporta anche le parole di un ufficiale della guardia costiera di Tripoli, Muhammad al Hani, secondo il quale “la soluzione di base è sostenere l’Africa subsahariana, che è la fonte dei flussi migratori e non una zona di transito come la Libia”. Qual è il suo commento?
La Libia non è una semplice zona di transito ma l’ultimo miglio di una lunga catena di abusi e sfruttamenti. È sulle coste libiche e grazie al ricatto umanitario delle vite messe in pericolo in mare che si dà valore economico a tutta la filiera migratoria clandestina. I trafficanti libici giocano un ruolo chiave perché è nelle acque territoriali libiche che si crea la parte più consistente del valore economico della tratta.
Vuol dire che bisogna pagare governi incapaci di produrre sviluppo per fermare i flussi?
No. Non servirebbe a nulla, né sul piano della nostra sicurezza, né su quello umanitario. Lo sviluppo ed il controllo delle frontiere sono due piani differenti. Anche perché non esiste nessuna certezza che maggiore sviluppo porti a ridurre i flussi migratori illegali. Anzi, vi sono numerose indicazioni del contrario.
È possibile che il governo italiano non abbia contezza di questo aspetto?
L’Italia, e ancora più di noi la stessa Europa, mi pare non abbia chiara la portata storica della questione, la complessità dei valori in gioco e la necessità di un approccio complessivo al dossier. Per noi italiani la questione fondamentale è come salvare la statualità della Libia e la sua integrità territoriale ad ogni costo. È impressionante vedere la lucidità strategica di Turchia e Russia, ma anche dell’Egitto, e poi confrontarla con l’azione nostra o degli altri Paesi europei. È chiaro che noi italiani abbiamo mezzi limitati e molti più vincoli. Ma le ambizioni mi paiono ancora più limitate delle risorse. Se l’Europa non ha una strategia per la Libia la colpa è buona parte italiana.
C’è un’alternativa ai 4.800 euro al mese di spesa per ogni migrante imbarcato sulle “navi quarantena” volute dal governo Conte?
Così come si è messa la situazione, no. Sono la ciliegina sulla torta di una cattiva gestione del fenomeno migratorio nel Mediterraneo centrale e più in generale del conflitto libico. O si rimette mano a tutto o la situazione finirà fuori controllo, costringendoci a interventi tampone sempre più costosi e sempre meno efficaci.
(Federico Ferraù)