La giornata di ieri in Libia si è aperta con la notizia dei bombardamenti notturni compiuti dall’aviazione di Haftar contro l’aeroporto di Tripoli e poi è proseguita con la dichiarazione di Sarraj che accettava il cessate-il-fuoco entro domenica chiesto da Putin ed Erdogan. Nel pomeriggio, poi, il premier Conte e il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, si sono incontrati in un vertice ribadendo la posizione dell’Italia: “dialogo con tutti”. Ma sullo sfondo resta il sapore amaro della gaffe diplomatica in cui è incappato il nostro presidente del Consiglio mercoledì, quando ha incontrato Haftar e irretito Sarraj, e il viaggio sostanzialmente inconcludente di Di Maio al vertice del Cairo. Due segnali evidenti della progressiva marginalizzazione dell’Italia sullo scacchiere libico. Ne pagheremo le conseguenze, visto che la Libia è nostro paese confinante, polo strategico del nostro approvvigionamento energetico e trampolino dell’immigrazione? E soprattutto: come può, se può, l’Italia provare a rientrare in gioco? Lo abbiamo chiesto a Gian Micalessin, corrispondente de Il Giornale e autore di reportage per la Rai e Mediaset da decine di teatri di guerra.
Come si presenta ora la situazione sul terreno?
È scontato che anche Haftar accetterà il cessate-il-fuoco, anche perché lo chiede Putin, l’uomo forte all’interno della coalizione. L’incontro tra Putin ed Erdogan era in programma da tre settimane e si sapeva che avrebbero discusso di questo accordo, a cui si è arrivati dopo contatti preventivi da entrambe le parti e infine è stato formalizzato sulla base di accordi che riguardano anche la Siria.
La giornata di ieri si è aperta con la notizia che nella notte i raid aerei delle milizie di Haftar avevano bombardato l’aeroporto Mitiga di Tripoli, a poche ore dall’incontro che il generale aveva avuto con il premier Conte, il quale gli aveva chiesto di fermare ogni ostilità. Un segnale evidente dell’irrilevanza italiana nella partita libica?
Innanzitutto è giusto ricordare che Haftar è venuto a Roma molto probabilmente per incontrare l’ambasciatore americano e non Conte. Ma l’incontro è assolutamente irrilevante dal punto di vista delle decisioni di Haftar. Il generale risponde ai suoi alleati e non certo all’Italia. Non è per scarso rispetto, ma non la considera sua alleata. In più l’incontro è avvenuto nello stesso giorno in cui i due principali dioscuri della politica libica, Russia e Turchia, si sono incontrati a Istanbul. Conte ha cercato la photo opportunity con l’intento di mettere fine a quell’assenza dell’Italia che si protrae ormai da mesi. Ma è stato un fallimento evidente, soprattutto dopo il no di Sarraj.
E come si sta muovendo il ministro Di Maio in questa delicata e complicata vicenda?
Mi ricorda un criceto in gabbia che corre freneticamente sulla ruota. Si muove tanto, da tutte le parti, ma mi sembra difetti di idee e strategie. Significativo l’inutile viaggio al Cairo, da cui è tornato rifiutandosi di firmare le considerazioni finali di un vertice organizzato da paesi che sono in contrapposizione con Sarraj. Ma lo si sapeva. Era meglio non andarci.
Secondo fonti della Farnesina, la gaffe di Palazzo Chigi potrebbe costarci molto cara. Sarà così?
Ormai il peggio è già stato fatto. Sulla Tripolitania, dove abbiamo sempre insistito molto perché abbiamo molti interessi strategici, dal controllo dei flussi migratori alle fonti energetiche fino alla prevenzione del terrorismo, siamo da tempo emarginati. Conte ha ripetuto lo stesso errore commesso alla Conferenza di Palermo a novembre, quando, pur di avere Haftar tra i propri ospiti, il presidente del Consiglio trascurò tutti gli altri, in primo luogo la delegazione turca, che abbandonò infuriata la conferenza. Da lì ebbero inizio le ostilità nei confronti del nostro paese.
Ora la Libia sembra destinata a essere un affare interno a Russia e Turchia. Quali rischi corriamo?
Il primo rischio è quello di vederci sottrarre le concessioni, e le future prospezioni, dell’Eni in campo energetico, motivo principale della nostra presenza in Libia. Chi ha più fame di noi di energia è proprio la Turchia, che dipende per il 60% dal gas russo. Dove Erdogan poteva andare a trovare nuovo gas? In Libia, appunto. In secondo luogo, la grande arma di pressione che Erdogan ha utilizzato contro l’Europa è stata l’immigrazione, e ora potrà fare la stessa cosa anche dalla Libia. Infine, il terrorismo, altro grossissimo rischio, perché sappiamo che Istanbul ha avuto rapporti molto grigi con tutte le organizzazioni jihadiste che operano in Siria e in Iraq. Molti dei miliziani che stanno andando a combattere in Libia sono ex jihadisti riciclati come mercenari.
Tenendo conto degli interessi energetici, come si spiega l’assordante silenzio di Macron e della Francia?
Il silenzio di Parigi è la conseguenza della stolta e poco avveduta guerra condotta dalla Francia contro l’Italia. Macron si illudeva di essere il principale alleato di Haftar, ma è stato scavalcato da altri alleati, in primis gli Emirati Arabi, che hanno spinto il generale libico a portare avanti la sua guerra contro Tripoli, e successivamente dalla Russia, che si è mossa con molta abilità. Anche Macron è attento a muoversi, perché sa che non ha più il controllo del proprio alleato.
L’ingresso di turchi e russi in Libia può tornare a infiammare il Nordafrica?
Sicuramente crea grossi problemi soprattutto all’Egitto, il principale nemico della Turchia.
A questo punto, l’Italia può ancora, se può, tornare in gioco nello scacchiere libico? E come?
La possibilità esiste se ci sarà un nuovo governo capace di esercitare una vera azione politica, chiara ed efficace. Con Minniti siamo riusciti ad avere una presenza costante, ma poi tutto si è sgretolato perché è mancata una figura chiave ben riconoscibile.
Il vicepresidente della Commissione Ue, Frans Timmermans, ha dichiarato che in Libia all’Europa “serve un uomo come Minniti”. Potrebbe consentire all’Italia di raccogliere i cocci e rilanciare il proprio ruolo?
Senza dubbio sì, sarebbe la persona più adeguata per garantire all’Italia un certo spazio.
(Marco Biscella)