La minaccia della Turchia di intervenire militarmente in Libia a sostegno di Fayez al-Sarraj, spiega Mauro Indelicato, direttore di Infoagrigento.it, collaboratore del Giornale.it ed esperto di strategie militari, “è velleitaria e propagandistica”. “A Erdogan – aggiunge – non interessa tanto chi governerà Tripoli in futuro, ma che l’accordo stretto in questi giorni tra Turchia e Libia sulla demarcazione dei confini del Mediterraneo orientale, che di fatto ha creato un corridoio di comunicazione tra i due paesi, andando a interferire con quelli di Grecia, Egitto, Cipro e Israele, rimanga valido chiunque sia al potere”. Ennesima mossa espansionista di Ankara, dunque, che secondo Indelicato “può permettersela, perché tiene l’Europa sotto ricatto con i migranti, per i quali la stessa Europa paga tre miliardi di euro all’anno”.



Erdogan minaccia di intervenire militarmente in Libia, intanto ha firmato un memorandum di intesa che spacca il Mediterraneo orientale. Che cosa c’è da temere di più?

Questo accordo solleva molte gravi preoccupazioni, perché va a incidere sulle politiche nel Mediterraneo orientale, ridisegnando i confini marittimi e le mappe della regione, tagliando fuori Cipro, Grecia, Egitto e Israele dai corridoi commerciali europei.



Ma non esiste una autorità suprema che controlla i confini marittimi?

Ogni paese ha il diritto di poter stabilire una estensione di quelle che sono le proprie acque delle zone economiche esclusive (Zee) dove sfruttare le risorse. Però in un contesto internazionale sulle convezioni, come quella di Amburgo, che regolano l’estensione e i princìpi cardine. Più che una autorità c’è un diritto internazionale che regola queste disposizioni. Ma è tutto piuttosto aleatorio.

In che senso?

Pensiamo a Libia e Italia, che non hanno mai stretto un accordo sui confini marittimi per regolamentare le proprie zone economiche esclusive. La Libia rivendica un tratto di mare maggiore rispetto alle convenzioni internazionali e lo si è visto spesso con i sequestri dei nostri pescherecci. In questo caso, invece, la Turchia ha stretto un accordo con la Libia, secondo la volontà dei singoli Stati. Secondo la Turchia le convenzioni sono state rispettate per i paesi citati prima, per cui non si andrà a un contenzioso.



Al momento la Grecia è l’unico paese che ha protestato?

La Grecia ha chiesto all’Unione Europea, nell’ambito della conferenza dei ministri degli Esteri che si è svolta due giorni fa, di prendere una posizione contro la Turchia. Ha chiesto l’applicazione di sanzioni economiche, ma il consiglio degli Affari esteri europeo ha rilasciato la solita condanna a parole, senza tuttavia aver preso alcun provvedimento ufficiale.

La Turchia, come già in Siria, fa quello che vuole. Anche all’ultimo vertice Nato non è stata criticata o condannata…

La Turchia sa come ricattare l’Europa con i migranti, quell’Europa che nel 2016 ha accettato di pagare tre miliardi di euro all’anno affinché Ankara trattenga i profughi. L’Ue si trova in una posizione ricattabile, in questo momento non ha la volontà politica né i mezzi politici per contrastare Erdogan. Ecco perché la Nato e il vertice europeo non lo hanno criticato. 

Lei sostiene che per Erdogan, a prescindere da chi siederà a Tripoli nei prossimi mesi, l’obiettivo è rivendicare la legittimità dell’accordo preso con la Libia. La minaccia di un intervento militare come si può spiegare?

Ha un significato velleitario, propagandistico. Erdogan sa bene che ci sono dinamiche interne a Tripoli che stanno spaccando il fronte di Serraj. Accelerando sul suo progetto, ha come obiettivo di dare validità a questo accordo a prescindere da chi governerà Tripoli. È una corsa contro il tempo. Adesso ha un governo amico che però potrebbe non avere più, ma se questa corsa dà i frutti sperati potrebbe comunque difendere questa mossa, che darebbe alla Turchia un forte vantaggio nel Mediterraneo orientale.

Un governo, quello di Tripoli, che è anche alleato dell’Italia. Di fronte a tutti questi eventi il nostro paese sembra immobile.

L’Italia è immobile, non ha più seguito il dossier libico come faceva un anno fa. Oggi siamo in una posizione di forte svantaggio, ma nella nostra stessa condizione si trova anche l’Europa. Ci si è concentrati a lungo sul duello tra Francia e Italia, ora a godere è il terzo litigante, i paesi del Medio Oriente che hanno fatto proprio questo conflitto.

Abbiamo la possibilità di fare qualcosa?

Abbiamo ancora delle carte da giocare, in Libia siamo l’unico paese con una ambasciata che ha funzioni di mediazione importanti, abbiamo una conoscenza del territorio che gli altri non hanno e che si potrebbe sfruttare come mezzo per mediare. L’Italia potrebbe puntare sui buoni rapporti che ha con gli attori interni e internazionali. Fra Conte e Trump c’è accordo come fra Italia e Russia. Potremmo esercitare un potere di mediazione, ma va fatto il prima possibile, perché il tempo stringe.

Lo scenario in Libia è drammaticamente caotico. I russi sostengono Haftar, mentre Ankara e Mosca si avvicinano sempre più. Gli americani sostengono Tripoli, che è alleata dei turchi. Che sviluppi si possono prevedere?

Ci sono differenze tra l’impegno russo e quello americano. I russi sono presenti ufficialmente in territorio libico con mercenari e armi, addirittura il dinaro libico che si usa in Cirenaica viene stampato in Russia. Gli Usa invece considerano marginale il dossier libico. Se nei prossimi mesi gli americani si impegneranno in funzione anti-russa, allora ci potrebbe essere una ulteriore guerra per interposte forze tra russi e americani. Se gli Usa manterranno l’attuale posizione, la Russia troverà minori resistenze. Il problema è che gli americani sono divisi anche al loro interno: Trump non si interessa alla Libia, mentre Dipartimento di Stato e Pentagono vorrebbero un intervento contro la Russia.