Gli aerei da caccia di fabbricazione russa giunti nella base di Jufra, nella Libia meridionale, come riportato dall’agenzia Nova, sono dell’aviazione siriana. Una mossa per cambiare gli equilibri sul terreno a favore di Haftar. Come ci ha spiegato in questa intervista Michela Mercuri, esperta di rapporti internazionali e docente di Storia contemporanea dei Paesi mediterranei nell’Università di Macerata, “fino a oggi Mosca ha impiegato in Libia solo una milizia di mercenari, la cosiddetta Brigata Wagner, e non vere e proprie truppe”. L’arrivo di questi mezzi aerei, ci ha detto ancora, potrebbe essere il segno che ha intenzione di ricalibrare le ultime importanti vittorie di Serraj, sempre più sostenuto dai turchi, o fungere da deterrente, “perché chi ha interesse a una guerra senza interruzione, con la vittoria o la sconfitta, sono solo turchi ed Emirati arabi”.



Sembrava che i russi almeno parzialmente si fossero ritirati dal conflitto, cercando di tenere un atteggiamento più bilanciato verso le due forze libiche. Come mai questo cambiamento?

È possibile che la Russia voglia ricalibrare la situazione in Libia. Nelle ultime settimane la Turchia ha mandato uomini e mezzi senza sosta a Tripoli, permettendo a Serraj di riportare vittorie importanti in zone in cui Haftar aveva basi nell’ovest. Ed è possibile che la Russia per evitare un ulteriore allargamento delle forze di Tripoli ora voglia porre un freno. È da capire se sia il preludio a una escalation che potrebbe mutare le sorti del conflitto, oppure se l’invio dei jet militari ha come obiettivo di fungere da deterrente con la Turchia.



Nelle ultime settimane Haftar, grazie soprattutto agli aiuti turchi a Serraj, sembrava in rotta. Adesso vuole giocarsi il tutto per tutto?

La forza di Haftar è sempre stata il giocarsi il tutto per tutto sin dal 4 aprile 2019 quando scagliò l’attacco. Il suo punto di forza è non voltarsi mai indietro, nel bene o nel male. A questo punto ha poco da perdere, continuerà la battaglia fino alla fine.

Che cosa glielo fa pensare?

Fino a oggi pur partecipando a conferenze di pace ha sempre rifiutato qualunque accordo. La sua idea è di portare avanti la guerra a costo della propria vita.

Siamo davanti ad un inasprimento del conflitto?



Il conflitto in Libia è sempre stato definito a bassa intensità, ma è sbagliata come definizione. Mai come ora invece potrebbe subire importanti escalation: succede quando si combatte con mezzi aerei, la contraerea sofisticata fornita dalla Turchia a Serraj e gli aerei russi fatti arrivare a sostegno di Haftar. Da sottolineare poi che ci sono molti attori esterni coinvolti che vogliono portare questa guerra fino alla fine.

A chi si riferisce?

Agli Emirati Arabi e alla Turchia, che non accetterebbero una sconfitta o un accordo. La Russia, laddove decidesse di non usare i jet, potrebbe proporsi come mediatore. È  uno scenario in evoluzione. Dipenderà da cosa farà Mosca, che è l’ago della bilancia della crisi libica.

E l’Italia? Gli Usa? Stanno a guardare?

Né gli Usa né tantomeno l’Italia possono far alcunché davanti a questa escalation perché sono attori marginalizzati. In Libia combattono Turchia contro Emirati, con il supporto dell’Egitto e dei mercenari russi, tutti attori che sono sul terreno. Chi non è sul terreno non ha alcun potere.

In realtà sul terreno libico c’è anche l’Italia, con un ospedale da campo militare a Misurata, un’ambasciata, l’unica di un paese occidentale ancora aperta, e navi nel porto di Tripoli.

Sì, ma in realtà resteremo sempre una forza imbrigliata in un sistema di alleanze europee che poi ci danno gli ordini su cosa dobbiamo fare. Abbiamo rinunciato a una nostra politica estera in favore di uno spirito europeo che invece la Francia ha disatteso, perché anche Parigi ha soldati dispiegati sul terreno anche se non dice quanti e dove sono. Pur avendo noi questi asset in Libia, l’indifferenza della nostra politica nei confronti della Libia ha permesso alla Turchia di prendere il nostro posto e adesso di sostituirsi anche a Serraj. Le tensioni si sono senz’altro acuite per colpa della nostra assenza politica, che ha permesso alla Turchia di escludere lotti di proprietà Eni nel Mediterraneo orientale.

La missione europea contro l’importazione di armi in Libia?

L’unica cosa fatta dall’Unione Europea è la missione navale Irini per rispettare l’embargo di armi. Quanto sta succedendo ci fa capire quanto sia debole la missione. I jet russi sono partiti dalla Siria, hanno fatto rifornimento in Egitto e poi sono arrivati in Libia. Questo ci dice quanto sono deboli i paesi europei inclusa l’Italia.

Il quadro che dobbiamo aspettarci?

Haftar non vuole fermarsi. Credo che non si riuscirà a raggiungere un accordo, non tanto per colpa sua, ma perché ci sono forze che vogliono continuare a combattere che sono più importanti di lui.

(Paolo Vites)