Il generale Haftar si toglie la divisa con l’intenzione di candidarsi alle prossime elezioni libiche del 24 dicembre, anche se non è ancora stato annunciato ufficialmente. Una legge, accolta con non poche polemiche, approvata non a caso dal ramo del Parlamento libico con sede a Tobruk, nella Cirenaica da lui controllata, chiede infatti che chi si candida si dimetta da ogni ruolo militare a tre mesi dal voto, termine che è scaduto proprio nelle ultime ore. “Non è in realtà una mossa a sorpresa” ci ha detto in questa intervista Michela Mercuri, docente di storia contemporanea dei paesi mediterranei nell’Università di Macerata ed esperta di Libia, “molti analisti lo avevano previsto. È una mossa che conferma come il paese, nonostante quello che tutti avevamo sperato dopo la nascita del governo unitario di Dbeibah, sia ancora profondamente spaccato in due, tra Est e Ovest. Un paese che qualunque sia il risultato elettorale, sarà poi molto difficile governare”.



Cosa significa questa mossa di Haftar, che arriva subito dopo la sfiducia a Dbeibah da parte del Parlamento di Tobruk?

Dbeibah ha rappresentato la leadership del governo unitario, anche se un governo in sostanza di diritto ma non di fatto. La sfiducia arrivata da Tobruk e questa mossa di Haftar, che dismette la divisa per proporsi come candidato, evidenzia che in Libia ci sono importanti divisioni e laddove ci fossero elezioni queste divisioni sarebbero il leitmotiv della campagna elettorale. Una Libia spaccata in due con candidati che rappresenteranno le due aree, Est e Ovest. Se accettiamo questa ipotesi, il candidato di ogni zona sarà quello che riuscirà a portare più risorse economiche nelle rispettive aree d’influenza.



Quante chance ha di vincere Haftar?

Non lo sappiamo, è ancora difficile immaginare i candidati avversari. Sicuramente uno dei nomi più accreditati è l’ex vicepremier Ahmed Maitig, molto stimato, che può contare anche su una forza militare importante, il che significa voti. C’è poi Saif Gheddafi, che da tempo ha creato un proprio partito, i cui sostenitori sono in crescita, anche per il diffuso malcontento causato da una decennale condizione di povertà e che potrebbe far leva su questo e sulla sicurezza per porsi come possibile vincitore.

Chi c’è dietro la scelta di Haftar? Chi lo appoggia?



Dopo la creazione del governo unitario, Haftar, che aveva anche perso la guerra, era rimasto molto sbilanciato. Evidentemente riesce sempre a risorgere dalle ceneri e riconquistare gli alleati che lo avevano abbandonato, come l’Egitto, che si era riavvicinato a Tripoli, e la Francia, che Haftar sta aiutando contro i ribelli del Ciad. Quando un attore libico recupera la propria forza, anche le potenze straniere si risvegliano. Haftar potrebbe avere di nuovo dietro anche gli Emirati arabi e forse la Russia.

Come cambia la corsa alla presidenza della Libia?

In realtà, non ci sono grossi cambiamenti. La candidatura era stata già prospettata da diversi analisti. Sarà sicuramente una campagna infuocata, soprattutto fra i candidati dell’Est e dell’Ovest con la presenza ingombrante dei gheddafiani. Parlerei piuttosto di una problematica post elezioni. La Libia è instabile, i risultati elettorali potrebbero essere contrastati da molte milizie che ancora spadroneggiano e il pericolo non risiede tanto in quello che potrebbe accadere durante la campagna elettorale, ma dopo.

Come reagirà il Parlamento di Tripoli? Contrapporrà un suo candidato forte?

Certamente. Anche se Haftar non si fosse candidato, Tripoli avrebbe messo sul piatto le sue carte vincenti. L’ex vice primo ministro, come detto, ha una grande influenza a Tripoli e a Misurata, o l’ex ministro degli Interni, Fathi Bashaga, che è molto vicino alla Turchia, paese che gioca sempre un ruolo importante. Con Dbeibah abbiamo immaginato, forse ingenuamente, di vedere una Libia almeno parzialmente unita, ma in realtà la Cirenaica e la Tripolitania sono sempre rimaste in lotta, per l’obiettivo che più conta: accaparrarsi i proventi del petrolio e soprattutto i soldi della Banca centrale libica.

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