Fayez al Serraj si trova a Roma, dove secondo indiscrezioni sarebbe stato operato per tumore e dove rimarrà per alcuni giorni. In questa situazione ha lasciato il ruolo guida di Tripoli al suo vice Ahmed Maitig. Secondo Gian Micalessin, inviato di guerra de Il Giornale, da noi intervistato, “non si tratta di un vuoto di potere, perché entrambi sono legati al nostro paese e come si sa Tripoli è riconosciuta a livello internazionale come rappresentante della Libia. Il problema è però un altro, alla luce delle elezioni che hanno portato alla nomina del governo provvisorio, che dovrà guidare la Libia alle elezioni nazionali il prossimo 24 dicembre”, e cioè il rafforzamento militare nel paese di Turchia e Russia, che così dimostrano di non avere nessuna intenzione di lasciarlo, nonostante dovrebbero farlo: “Siamo davanti a una situazione di fatto, un nuovo accordo sottobraccio tra Mosca e Ankara davanti a cui nessuno, gli Stati Uniti soprattutto, sembra capace di agire”.
La malattia di Serraj interviene nel pieno delle trattative e delle discussioni per il nuovo governo, influenzerà in qualche modo la situazione?
Direi di no, perché di fatto Serraj aveva già finito il suo mandato, adesso tutto è nelle mani dei vincitori delle elezioni. Quello che ha lasciato perplessi, ed è la cosa strana, è come abbiano fatto ad arrivare Mohammed Al Manfi alla guida del nuovo Consiglio di presidenza e Abdul Hamid Mohammed Dbeiba a ministro degli Interni, ottenendo i voti dei 74 delegati, andando chiaramente contro le indicazioni dell’Onu, che pensava all’asse moderato Aguila Saleh e Fathi Bashaga alla guida dell’autorità esecutiva.
Questo risultato conferma la forza della Fratellanza islamica e del radicalismo in Libia?
Sicuramente, però ricordiamoci che il ministro degli Interni è direttamente legato alla Fratellanza islamica, è l’uomo della Turchia. È stato un tentativo di sottrarsi alle logiche straniere, dire no a quanto vuole imporre l’Onu. La delegata facente funzione dell’Onu, Stephanie Williams, ha lavorato per creare l’asse Aguila Saleh e Fathi Bashaga alla guida dell’autorità esecutiva. In verità il risultato è un risultato gattopardesco, cambiare tutto per non cambiare niente, perché i due grandi contendenti rimangono sempre la Russia da una parte e la Turchia dall’altra.
A questo proposito entrambi i paesi stanno rafforzando le loro postazioni militari, come a voler dire: noi dalla Libia non ce ne andiamo, qualunque sia il risultato elettorale. È così?
Si è creata una situazione di fatto in cui Turchia e Russia, ribadendo quella politica sotto traccia che hanno già usato in Siria e nel Nagorno-Karabakh, e ora anche in Libia, si sono spartite le zone di influenza.
E non se ne vogliono andare?
Non se ne vogliono andare, il tutto sotto gli occhi di un’America che sembra sempre più fuori dai giochi, per quanto la Williams, che oltre a essere l’inviato dell’Onu è americana, sia riuscita a gestire il cessate il fuoco che in parte era stato decretato dal fatto che sia Emirati Arabi, Egitto e Russia avevano un po’ perso fiducia nel generale Haftar. Pensavano di sostituirlo con una guida più politica. Gli americani sono tagliati fuori e questo per loro è un grande problema, perché si ritrovano con i russi nel Mediterraneo.
Come inciderà questo scenario con l’obiettivo di arrivare alle elezioni di fine dicembre?
Penso che alla fine difficilmente cederanno alla tentazione di non tenersi il potere che hanno conquistato, faranno un accordo per posticipare le elezioni, perché dopo le elezioni dovrebbero ritirarsi. Penso che il grosso rischio sia che questo governo provvisorio sia meno provvisorio di quanto si pensi e che le elezioni vengano spostate ancora una volta. Anche perché non c’è una situazione che faccia pensare all’unificazione della Libia, tutt’altro. La situazione sul terreno è un ulteriore radicalizzazione delle divisioni. A meno che non ci sia con Biden una presa di posizione americana verso i turchi che dovrebbe però allontanare anche i russi. Ma è una cosa più complicata.
E l’Italia? Del tutto tagliata fuori?
Potrebbe giocare un ruolo grazie al nuovo governo che sembra molto più filo-atlantico e gradito agli americani. Un’influenza sulla Libia, dal punto di vista americano, è molto più accettabile, ma in questo momento non è facile. Russia e Turchia non sono disposte a farci tornare a recitare un ruolo.
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