Stati Uniti e Russia usano il Paese come terreno di scontro, tanto da dividere anche la famiglia di Khalifa Haftar, leader della Cirenaica. Il governo di Dbeibah, con sede a Tripoli, è in balia delle milizie e ora anche sotto il tiro del figlio di Gheddafi. La Turchia cerca di mantenere salde le sue posizioni, tornando a occuparsi dell’addestramento delle forze di polizia. La stabilizzazione della Libia, vista la situazione attuale, sembra una chimera. Ne avrebbe bisogno anche l’Italia, per la quale, spiega Michela Mercuri, docente di cultura, storia e società dei Paesi musulmani all’Università di Padova, un Paese unito significherebbe migliori opportunità per l’attuazione del Piano Mattei.
Le aziende interessate a sfruttare le occasioni di business sono molte, ma devono poter investire in sicurezza. Intanto, il governo della Tripolitania introduce un ulteriore elemento di incertezza: a dicembre entrerà in azione la polizia morale, che, come in Iran, controllerà l’abbigliamento delle persone, in particolare delle donne, introducendo restrizioni alle libertà personali.
Il leader della Cirenaica, Khalifa Haftar, incontra per l’ennesima volta il viceministro russo Junus-bek Evkurov, mentre l’inviato speciale degli USA, Richard Norland, si reca nel Fezzan. Stati Uniti e Russia si scontrano anche in Libia? Come sono i loro rapporti con la famiglia Haftar e quali sono le loro strategie?
L’interesse americano per la Libia, piuttosto recente, è motivato dalla crescente presenza russa nelle dinamiche libiche e africane. Da tempo i vertici di Mosca dialogano con Khalifa Haftar, loro alleato, mentre gli Stati Uniti stanno cercando di rafforzarsi o individuare interlocutori in altre zone, come il Fezzan, dove transitano la maggior parte delle organizzazioni jihadiste, terroriste e dei trafficanti di esseri umani. Le dinamiche tra Washington e Mosca si riflettono anche all’interno della famiglia Haftar. Saddam, figlio di Khalifa, appare sempre più disponibile a collaborare con gli americani, mentre il fratello Khalid ha rapporti più stretti con i russi. Questo evidenzia che i fratelli sono in competizione fra loro e che il padre ha sempre meno potere.
La Turchia, intanto, rinsalda i suoi rapporti con il Governo di unità nazionale e si presta a formare e addestrare le forze di polizia libiche. La sua presenza in Tripolitania è sempre più forte?
La Turchia, impegnata in molti teatri, da quello ucraino a quello mediorientale, ha allentato la presa in Libia. Vorrebbe ergersi a mediatore universale, ma non ne ha le capacità. Notando la grande concentrazione di uomini dell’Africa Corps russo in Libia e in Africa, ha ripreso in mano la questione libica, rafforzando la sua presenza in Tripolitania, avviata nel 2019 quando Haftar attaccò al-Sarraj e Ankara inviò uomini e mezzi per sostenerlo. La Turchia ha numerosi interessi economici, energetici e infrastrutturali con l’Ovest. Ora, la presenza russa nell’Est la costringe a rivedere la politica diplomatica.
Quali sono le ripercussioni di questo intreccio di interessi?
È evidente che la presenza di attori esterni (Russia, Turchia, Paesi del Golfo e alcune potenze europee) porta i libici a fare affari con singoli signori della guerra, perpetuando la spaccatura interna del Paese e ostacolandone l’unificazione. A più di 12 anni dall’uccisione di Gheddafi, voluta dalla Francia e supportata dalla NATO, la Libia rimane divisa in due centri di potere, a Est e a Ovest, e frammentata in numerose milizie, con cui gli attori internazionali intrattengono rapporti. Per loro è più facile avere una Libia debole piuttosto che rivedere gli affari in essere.
Intanto il figlio di Gheddafi, Saif el Islam, sembra minacciare Dbeibah. Il governo di Tripoli è ancora solido, per quanto possibile in Libia, o si rischia un cambio della guardia? E con quali conseguenze?
Il governo di Dbeibah non è solido, poiché deve rispondere continuamente ai desiderata di molte milizie e si regge su un compromesso con loro. In questo contesto, il figlio di Gheddafi è una figura molto polarizzante, che attrae i nostalgici del regime, sempre più numerosi viste le condizioni in cui versa il Paese, ma incontra il rifiuto di chi teme il ritorno a un’autorità autocratica, considerando l’impossibilità di indire elezioni politiche. Nonostante su di lui penda una condanna del Tribunale internazionale dell’Aja, Saif potrebbe ricoprire un ruolo nel Paese.
Quindi può tornare a essere protagonista?
Qualche giorno fa ha rivendicato una vittoria nelle elezioni municipali del 16 novembre. È un termometro della volontà del popolo libico. Da tempo, Saif el Islam vuole tornare a guidare il Paese. In questo momento, in cui la Libia è divisa, potrebbe unire i nostalgici e chi si lamenta delle precarie condizioni di sicurezza.
Intanto il ministro dell’Interno, Trabelsi, vuole istituire la polizia morale. Nel mirino abiti inappropriati e contenuti sui social media: una svolta nella direzione dell’islam radicale?
Sì, il ministro dell’Interno, con il consenso di Dbeibah, vuole istituire la polizia morale, tristemente nota in Iran, incaricata di far rispettare restrizioni alle libertà personali, soprattutto femminili. Si dice che in Libia le bambine dai 9 anni in su dovranno indossare il velo in pubblico, le donne non potranno più viaggiare da sole e vi saranno restrizioni alla libertà di espressione, anche su internet. Un enorme passo indietro per il governo dell’Ovest, con cui l’Italia sta stringendo accordi attraverso il Piano Mattei. Tali accordi potrebbero essere compromessi, perché il piano prevede anche il supporto a un processo di maggiore apertura ai diritti. Il governo Meloni non si fermerà davanti a questo, ma resta da capire se la polizia morale sarà incisiva come in Iran. In tal caso, il Paese rischierà una deriva autoritaria.
Questo giro di vite nelle libertà individuali potrebbe suscitare reazioni nella società civile?
Potrebbero esserci proteste da parte delle donne dell’Ovest. Proteste che gli Haftar potrebbero cavalcare per creare ulteriore confusione. Una eventualità di cui non c’è affatto bisogno.
In tutto questo contesto l’Italia come si sta muovendo per curare i propri interessi? Il Piano Mattei a che punto è?
Il Piano Mattei prosegue. A fine ottobre si è tenuto un importante business forum italo-libico con la partecipazione di circa 250 imprese italiane e libiche. Si è parlato di energia, pesca, industria, sanità, farmaceutica, infrastrutture. Erano presenti il Gruppo San Donato e importanti organismi di finanziamento italiani come Ice, Sace e Simest. Tuttavia, la Libia resta un Paese instabile e fare affari è ancora rischioso. Inoltre, il business forum si è svolto a Tripoli, ma bisogna considerare anche l’Est: l’Italia deve dialogare con Haftar per evitare di inimicarselo. La stabilizzazione del Paese è necessaria e richiede il supporto dell’Europa, finora silenziosa e reticente.
(Paolo Rossetti)
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