Una Libia sempre più divisa, con l’esercito di Khalifa Haftar, guidato dal figlio Saddam, che, dopo essersi diretto verso Ghadames, a sud di Tripoli, ora avrebbe riconquistato miniere d’oro contese con il Ciad, al confine tra i due Paesi. Non solo, si segnala anche un concentramento di truppe tra Algeria, Niger e Libia.



Ma nella capitale si sta combattendo un’altra battaglia, racconta Michela Mercuri, docente di cultura, storia e società dei Paesi musulmani nell’Università di Padova: quella per la Banca centrale. Il Consiglio presidenziale di Tripoli, infatti, ha nominato un nuovo governatore, mettendo Mohamed Al-Shukri al posto di Al-Siddiq Al-Kabir (che non si vuole dimettere) negli ultimi mesi protagonista di scontri con Dbeibah, leader del Governo unitario riconosciuto dalla comunità internazionale, proprio per la gestione del denaro statale.



Sullo sfondo, la lotta per il petrolio e per i suoi proventi, e la solita contesa fra Cirenaica e Tripolitania, con la prima che rivendica maggior peso nella distribuzione degli introiti del greggio. Una situazione che gioca a favore della Russia, che consolida la sua presenza in questa parte dell’Africa, e che preoccupa l’Italia, il cui Piano Mattei non viene sostenuto di fatto da UE, G7 e NATO.

Il rapimento del responsabile informatico (poi liberato), la sospensione dell’attività per qualche giorno, il tentativo di sostituire l’attuale governatore: in Libia l’oggetto del contendere è la Banca centrale. Chi sono gli attori di questo nuovo scontro? Chi vuole che cosa?



La Banca riceve i depositi di petrolio e gas per circa il 95% degli introiti dello Stato. Paga i salari, realizza opere pubbliche, ha riserve per svariati miliardi di dollari: per tutte le fazioni, averne il controllo è molto importante. È contesa fra l’Est e l’Ovest, tra Haftar e Dbeibah. Il governatore Kabir e Dbeibah negli ultimi mesi hanno cominciato a scontrarsi. Dal 2020, quando si sono chiuse le ostilità, fino a oggi, il rapporto è stato abbastanza sereno, grazie anche all’accordo di spartizione tra fazioni di Est e Ovest del Paese, secondo il quale tutti i proventi del petrolio dovevano passare per la Banca centrale.

E poi cosa è accaduto?

Poi c’è stata una rottura, anche in conseguenza delle pressioni dell’Est, cui Kabir si è mostrato sempre più vicino. Lunedì il Consiglio presidenziale, che sostiene Dbeibah, ha dato ordine di deporre il governatore. Questo ha causato una serie di proteste da parte delle milizie, che ricevevano parte dei proventi, e della popolazione, che ha paura di un taglio dei fondi pubblici.

La Banca centrale è fondamentale per il controllo dei proventi del petrolio. Il vero nodo della contesa è questo? Quali sono gli equilibri che si sono rotti e che hanno portato a questa nuova contesa?

Nonostante gli accordi siglati nel 2020, la maggior parte del petrolio viene estratto in Cirenaica, ma i proventi sono gestiti dalla Banca centrale: un elemento che è causa di frizioni. Dbeibah, capo del Governo di Tripoli, spinge per avere più soldi da usare per le riforme, per accontentare la popolazione, per gli stipendi, ma l’Est non è d’accordo. Non è una vicenda nuova: tra le motivazioni che hanno dato vita alle prime rivolte in Libia c’era proprio questa. La maggior parte del petrolio veniva dalla Cirenaica, che Gheddafi chiamava la Vecchia Strega, ma finiva alle tribù della Tripolitania.

La vicenda della Banca si colloca in un contesto di particolare irrequietudine sulla scena libica: il tentativo di Haftar di controllare altri territori sta proseguendo? Mira ad allungare le mani anche su Tripoli?

Dalla settimana scorsa è partita questa offensiva da parte di Saddam Haftar, figlio del generale Khalifa, leader della Cirenaica, supportato dall’Africa Corps, l’ex Wagner. I russi sono interessati soprattutto a Ghadames, passaggio fondamentale per l’Algeria e la Tunisia, uno snodo verso il Sahel, territorio verso il quale Mosca avrebbe interesse a far passare armi, anche verso il Mali, dove ha appena subito una sconfitta dai ribelli. La Russia potrebbe fermarsi qui, Saddam Haftar invece è un cane sciolto e potrebbe puntare verso Tripoli e Misurata: in questo caso mi sembra remota la possibilità che possa avere un supporto russo. Nell’Ovest c’è la Turchia, che controlla una parte del Paese, con la quale la Russia non ha interesse a litigare. Se Saddam Haftar volesse procedere, anche da solo, potrebbe incontrare la resistenza proprio dei turchi, come è già successo.

Quanto l’attivismo russo in Libia e in Africa sta contribuendo a destabilizzare il Paese?

La Russia è presente almeno dal 2015 nell’Est libico, a fianco di Khalifa Haftar; da allora gli ha fornito armi e supporto. Ora però sta usando il porto di Tobruk come una sorta di hub per far arrivare armi verso il Sahel e i Paesi dell’Africa centrale. Lì sono passate navi russe che contenevano componenti per i droni, anche se non si sa a chi fossero diretti. Nell’Est ci sono 2mila miliziani dell’Africa Corps per i quali la Libia è uno snodo fondamentale per espandere la loro influenza in Africa. Mosca è interessata anche all’Algeria, con cui commercia in armi ma anche in grano e quant’altro.

Chi sono in questo momento i principali interlocutori dell’Italia, che peso hanno in questo momento e che pericoli correrebbe il nostro Paese se la situazione si aggravasse? Si rischia una battuta d’arresto per il Piano Mattei?

Purtroppo, in questo momento l’Italia non ha interlocutori, non ha supporto. Giorgia Meloni al G7 e al Vertice NATO ha portato avanti il Piano Mattei, raccogliendo il consenso di Canada e USA, ma di fatto non c’è nessun appoggio concreto a questo progetto, che potrebbe garantire un posto al sole anche all’Europa in un continente presidiato da Russia, Cina e Turchia. Senza il supporto europeo, il piano non andrà da nessuna parte.

Come si è mossa finora l’Italia?

Ha adottato una politica coraggiosa: sta lavorando con la Tunisia, ma anche con la Libia, con progetti di addestramento di alcuni militari libici, come la missione Miasit, che si è conclusa in questi giorni. Sta avendo rapporti con i libici nel settore agricolo ed energetico. Sta lavorando per il corridoio energetico Elmed, che porterebbe elettricità fra Italia e Tunisia. Questa situazione, con i russi sempre più presenti, diventa per l’Italia un grande ostacolo, soprattutto se continuerà a essere lasciata sola dall’Europa, ma anche dagli attori occidentali presenti al G7 o al vertice NATO, che avevano promesso un maggiore supporto.

(Paolo Rossetti)

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