Si sta decidendo il futuro sia dell’Africa, sia del Grande Medio Oriente nella Conferenza di Berlino sulla Libia. Al tavolo tedesco con una Cancelliera conscia di segnare la sua impronta nella storia in forma definitiva con una decisione geopolitica al pari di Bismarck. Con lei siedono la Francia, che si è inserita nel grande gioco grazie alla sua straordinaria capacità di mediazione tra tutti gli interlocutori; la Russia, che è destinata a trarre dalla trattativa i risultati più cospicui, avendo trasferito sul fronte libico i risultati raggiunti stabilizzando in un nuovo equilibrio di potenza la Siria o ciò che di essa rimane dopo la dissoluzione del regime franco-alawita che governava tramite la Siria stessa il Libano in cooperazione tanto con l’Iran (attraverso Hezbollah), quanto con la Francia che controllava l’esercito cristiano-maronita e la finanza francese quanto i sauditi, che con la filiera sunnita e i grandi immobiliaristi e la famiglia Hariri che governava il sistema della rendita urbana fortemente legata anche alla finanza anglosassone.



Questo puzzle libanese sarà di modello per la Libia. Essa non sarà spartita ma condivisa tra le potenze che hanno calato le loro carte sul terreno della guerra oltre che su quello delle intelligence.
Di qui il potere dei turchi, ossia della Turchia che è l’altra potenza regionale autonoma che siede a tavola. Sì, la Turchia, che si protende al controllo delle fonti energetiche libiche in cooperazione con la vincitrice della guerra mesopotamica, appunto la Russia. Questo accordo-turco russo non è diretto a contrastare la Francia o l’Italia (che è già fuorigioco), ma la Cina, che con la sua più potente major è già presente da anni in Libia e che sta rafforzando la sua presenza grazie alla cooperazione di un settore della cuspide energetica italiana ora passata al suo servizio e che attraverso questo vassallaggio si prepara a ritornare nella originaria casa professionale. E ciò per governarla tanto con la Francia a cui la cederà, quanto con la Cina che condividerà questa fusione accaparratrice.
Non ci saranno comunque conseguenze sul rifornimento energetico all’Italia. E questo perché nessun cambio di proprietà ha mai significato la chiusura dei rubinetti o delle rotte petrolifere o le pipeline del gas liquefatto o quelle del gas vaporoso a giusta pressione. Anzi, generalmente questo implica un eccesso di offerta ai vecchi destinatari per non creare problemi alla valorizzazione borsistica dei vecchi azionisti spossessati. E questo renderà tutta l’operazione fattibile e perversamente indolore oscurando le terribili conseguenze culturali tecnologiche di influenza e di mercato che ne scaturirà.



Per questo la conferenza di Berlino pone le basi di un nuovo di equilibrio di potenza tanto in Libia quanto in Africa, perché la Libia e l’Algeria sono le porte per il Sahel franco-africano. Esso sta profondamente trasformando il suo regime monetario unificando la nuova moneta che sostituirà il Franco africano con una nuova moneta legata con currency board all’euro. Elemento possente di penetrazione francese – in tal modo – in Africa. L’unico ostacolo a un accordo siffatto è la contrarietà che a ciò stanno manifestando gli Usa e la Grecia: tale situazione pone in pericolo gli interessi della loro influenza nel Mediterraneo con il rafforzamento del complesso russo-turco delle infrastrutture energetiche di distribuzione.



L’Italia è assente nel nuovo assetto di potere che sta delineandosi. Si riproduce di nuovo plasticamente il modello di integrazione subalterna geopolitica che ha avuto la sua origine nel tremolio della mano di Guido Carli allorché firmò il Trattato di Maastricht. La vera differenza tra quei tempi e oggi risiede nella stoffa umana degli attori coinvolti. A quel tempo giganti tremolanti, certo, ma pur sempre giganti. Oggi si tratta invece di vassalli convinti al servizio di molteplici potenze geopolitiche di largo o medio raggio. Alcuni improvvisati creati dalla mucillagine peristaltica da bravissimi barman esteri e nazionalisti-pseudo globalizzati. Altri ancora che ritornano in campo e che hanno fatto dell’imitazione di Petain un repertorio che reiterano compulsivamente creando un soft power per un’egemonia vincente.

Chi risulta perdente da tutto ciò è l’Italia. Ma ormai è vietato quanto fuori moda confessare di amarla. Come si amano gli italiani.