Partiamo come di consueto dai fatti. I raid aerei attuati tra il 4 e il 5 luglio contro la base di al-Watiya – situata nella Libia occidentale e sotto il controllo delle forze di Tripoli – potrebbero costituire un’implicita dimostrazione della presenza militare franco-egiziana sullo scacchiere libico (infatti solo la Francia e l’Egitto dispongono di arei come i Rafale) e una risposta diretta alla visita del ministro della Difesa turco Akar a Tripoli il 3 luglio accompagnato dal capo di Stato maggiore di Ankara, Yasar Guler, con lo scopo di consolidare una partnership militare più stretta.



Esistono allo stato attuale tre ipotesi possibili.

Prima ipotesi. Da un lato è possibile attribuire – come sottolineato da Gianandrea Gaiani su Analisi Difesa – questo raid ai Mig 29 e Sukhoi 24 inviati dai russi nella base di al-Jufra, nella Libia centro-settentrionale.

Secondo ipotesi. I raid potrebbero essere opera di velivoli militari francesi decollati dal Mali.



Terza ipotesi. Potrebbero essere stati gli Emirati Arabi Uniti, sostenitori di Haftar, che avrebbero utilizzato cacciabombardieri Mirage 2000 presenti nella base aerea egiziana di Sidi el-Barrani.

Se la seconda ipotesi fosse corretta – come indicato da Arab Weekly – proverebbe non solo il consolidamento degli stretti legami già esistenti tra Egitto e Francia, ma il coinvolgimento diretto franco-egiziano.

Infatti uno dei paesi europei che ha maggiormente sostenuto l’attuale regime di Abdel Fatah al-Sisi è stato proprio la Francia. Nel luglio 2013 Egitto e Francia intrattennero relazioni commerciali stabili ma modeste: dati ufficiali della relazione del 2015 al Parlamento sulle esportazioni di armi dalla Francia mostra il valore degli ordini egiziani effettuati con i produttori francesi che hanno raggiunto 245,3 milioni di euro nel periodo 2009-2013. Grazie ad un accordo di difesa firmato nel 2005, i due eserciti hanno partecipato a 70 esercitazioni militari congiunte nel 2016, e la Francia ospita regolarmente ufficiali egiziani nei suoi centri di addestramento. Il ritorno al potere dei militari ha trasformato queste relazioni bilaterali, consentendo alla Francia di affermarsi in pochi anni come il principale esportatore europeo di armi pesanti in Egitto.



L’arrivo al potere di al-Sisi, ex direttore dell’intelligence militare, era tra le altre cose un’opportunità per la Francia di formare una partnership speciale con i servizi di intelligence egiziani. Da allora Parigi ha fortemente sostenuto il Cairo fornendole enormi quantità di informazioni su diversi casi che sono fondamentali per il regime. Il 22 gennaio 2018 Bernard Émié, direttore del servizio segreto francese Dgse, è diventato il primo capo dell’intelligence straniera a incontrare il nuovo capo ad interim dell’intelligence generale egiziana, Abbas Kamel, nominato quattro giorni prima.

Tra il 2010 e il 2014 le consegne di armi francesi in Egitto sono aumentate da 39,6 milioni di euro a 838,4 milioni e gli ordini in questo periodo hanno superato il miliardo di euro. Nel 2015 e 2016 le vendite sono aumentate ulteriormente, con consegne di armi del valore di 1,2 miliardi di euro nel 2015 e 1,3 miliardi nel 2016.

Durante il periodo 2012-2016 le consegne di armi in Egitto hanno quindi totalizzato oltre il 10% delle esportazioni totali di armi francesi. Gli ordini sono aumentati nel 2015 con la firma di due importanti contratti per un valore di oltre 6,4 miliardi di dollari. Questi due contratti da soli rappresentavano più della metà di tutti gli ordini in Francia nel 2015 e hanno reso l’Egitto per la Francia il terzo cliente più importante per il periodo 2011-2015, dietro Arabia Saudita e India.

Il governo francese ha parlato di uno “straordinario risveglio” della cooperazione militare con l’Egitto, le cui autorità sono diventate così, in pochi anni, un grande partner militare per la Francia nonostante le repressioni dell’opposizione e l’instabilità cronica che ha segnato lo sviluppo politico dell’Egitto.

Entrando nel dettaglio, la Francia ha venduto navi da guerra maestrale (Dcns), fregate Fremm (Dcns), cannoniere (Gowind), aerei da combattimento Rafale, missili aria-aria Mica e missili da crociera Scalp (Mbda), e due aerei Asm.

Ritornando allo scacchiere libico, sia l’Egitto che la Francia non intendono accettare la presenza turca in Libia.

La Francia non potrà accettare passivamente che la Turchia giunga a un controllo dello scacchiere libico e proprio Macron ha definito il ruolo della Turchia in Libia come un vero e proprio gioco pericoloso. A livello di scenario strategico non si può escludere quindi un coinvolgimento militare – seppure indiretto – della Francia in funzione antiturca e volto a tutelare gli interessi petroliferi della Total. Inoltre i contrasti politico-diplomatici tra Turchia e Francia hanno subito un incremento il 10 giugno quando una nave da guerra turca aveva impedito a una delle imbarcazioni della missione europea volta a far rispettare l’embargo sulle armi imposto in Libia, nel contesto della Operazione  Irini, di ispezionare una nave cargo sospetta. Ebbene la Francia ha considerato il modus operandi turco un’azione ostile secondo le regole di ingaggio della Nato.

Per quanto concerne l’Egitto, il 6 giugno il presidente egiziano ha annunciato il piano del Cairo – denominato Iniziativa del Cairo – per un cessate il fuoco in Libia, dopo un incontro tripartito con il comandante dell’esercito nazionale libico (Lna) Khalifa Haftar. Al di là delle dichiarazioni di pacificazione espresse da parte di Al-Sisi in relazione alla necessità di arrivare ad una soluzione politica è evidente la volontà politica egiziana di riprendere il controllo della situazione libica per porre in essere un’equa spartizione in zone di influenze della Libia che tutelino i propri interessi.

Infatti l’Egitto è pienamente consapevole della centralità della città di Sirte per consolidare la propria proiezione di potenza. Non a caso il presidente egiziano ha definito Sirte come una linea rossa, linea che se venisse oltrepassata giustificherebbe un intervento militare egiziano e quindi un possibile conflitto turco-egiziano.

In conclusione la situazione libica attuale è la diretta conseguenza della caduta di Gheddafi, l’unico leader che era riuscito a mantenere la stabilità della Libia. Sarebbe stato infatti nell’interesse nazionale italiano mantenerlo al potere e non contribuire a deporlo. Per quanto riguarda l’Italia, a nostro modo di vedere, questa ormai ha perso ogni credibilità a livello internazionale. La spregiudicatezza con la quale la Turchia ha agito – e agisce – sullo scacchiere libico dimostra la volontà esplicita di utilizzare lo strumento militare come strumento di pressione politica e diplomatica. Siamo persuasi in ultima analisi che ben difficilmente l’Italia potrà svolgere un ruolo significativo sulla futura spartizione della Libia.