Fonti del Governo di unità nazionale di Tripoli (Gna) hanno smentito che il premier libico Fayez al Serraj sarebbe in procinto di presentare le proprie dimissioni. A diffondere la notizia era stata l’agenzia Bloomberg, secondo la quale Serraj avrebbe discusso il passo indietro con esponenti politici libici e internazionali. Dimissioni che comunque non sarebbero avvenute prima di ottobre, quando l’Onu darà il via a una serie di incontri per discutere il nuovo governo transnazionale. Le dimissioni sono state smentite dal ministro del Lavoro, ma nel frattempo, come spiega l’inviato di guerra e corrispondente de Il Giornale Gian Micalessin, “si è dimesso il governo di Bengasi sul fronte cirenaico, dove premier è il generale Haftar”. Una situazione, quella libica, sempre più rovente, “il che fa pensare – aggiunge Micalessin – che dietro tutte queste notizie ci sia qualcuno che tira i fili”. Chi? “Gli Stati Uniti, intenzionati a risolvere una volta per tutte la situazione libica e soprattutto a cacciare via russi e turchi dalle sponde del Nord Africa”.



Le dimissioni di Serraj sono state smentite, ma da tempo la popolazione di Tripoli scende in piazza contro di lui. Che cosa c’è dietro questa notizia diffusa da Bloomberg?

Ci sono state varie manifestazioni, culminate con le dimissioni del ministro degli Interni, Bashagha, che era un rivale di Serraj. Già quelle erano state dimissioni strane.



Perché?

Bashagha era la quinta colonna della Turchia a Tripoli, l’uomo forte di Erdogan in Tripolitania. Va poi detto che domenica scorsa, sull’altro fronte, abbiamo avuto le dimissioni del governo di Bengasi, che politicamente appoggia Haftar, anche se dal punto di vista politico era un governo sempre di rottura nei confronti del generale. Poi russi ed Emirati Arabi hanno deciso di mettere da parte lo stesso Haftar e adesso arriva la notizia delle dimissioni di Serraj che dovrebbero concretizzarsi entro ottobre, quando l’Onu dovrà negoziare un nuovo governo transnazionale.

Una situazione in pieno movimento dunque. Che cosa significa tutto questo?



Significa buttare all’aria tutti gli attuali assetti della Libia, perché – ricordiamocelo – questo governo di Tripoli viene spacciato come quello di unità nazionale sostenuto dall’Onu, ma in realtà è un governo fantoccio della Turchia.

E quello in Cirenaica?

È altrettanto inesistente, è il governo fantoccio di Haftar che vuole rivendicare il controllo dell’intera Libia.

Il quadro è chiaro, ma tutti questi sconvolgimenti non accadono se non c’è dietro qualcuno che muove le fila. È così? E se sì, di chi si tratta?

L’impressione è che qualcuno stia mettendo pesantemente le mani sulla Libia, anche perché solo un mese fa si era arrivati a un cessate-il-fuoco e se ricordiamo questo, allora è facile pensare che dietro a tutto ci siano gli americani.

In effetti si era già parlato di un intervento americano in Libia, ma poi non se ne era saputo più niente.

Gli Stati Uniti hanno deciso di muoversi con una politica molto energica, determinata dalla paura di un accordo turco-russo capace di dividere il paese. Non vogliono poi assolutamente i russi alle soglie del Mediterraneo e nel Nord Africa. Dall’altra parte, l’America torna sulla scena occidentale: l’attuale rappresentante dell’Onu per la Libia è l’ex incaricato d’affari degli Usa. L’impressione allora è che dietro a tutte queste dimissioni ci sia un filo tirato da Washington, che punta a trovare una soluzione definitiva.

Non sarà comunque facile, perché sappiamo che la Libia è un insieme di tribù e di milizie che vanno per conto loro. Che ne pensi?

Ci sono sicuramente leve economiche molto forti. Le milizie verranno pagate, il petrolio sarà venduto sui mercati internazionali, i fondi libici di Gheddafi devono essere ancora sbloccati. Insomma, ci sono pressioni che non conosciamo, capaci di mettere con le spalle al muro le milizie.

In questo quadro Eni e Total, cioè Italia e Francia, che ruolo avranno?

Per noi un ruolo assolutamente vantaggioso. Per gli Usa siamo sempre stati considerati gli unici in grado di affrontare il caos libico, a differenza di francesi e inglesi, che non si sono dimostrati all’altezza. Considerando l’intervento americano, dettato dalla necessità di bloccare i giochi della Turchia, l’Italia diventa l’interlocutore principale. Siamo quelli che avevano la presenza principale prima di essere messi da parte dalla Turchia e quindi potremo, seppur senza merito alcuno, tornare ad avere il ruolo che avevamo.

(Paolo Vites)