Una “display determination”: la definisce così in questa intervista il generale Marco Bertolinigià a capo del Comando operativo di Vertice interforze e della Brigata Folgore, in missione su molti fronti internazionali, dall’Afghanistan al Libano e ai Balcani. È qualcosa che la Nato ha sempre fatto: esercitazioni di forza per mettere in mostra il suo potenziale. La differenza in questo caso – in una operazione navale in cui sono impiegate portaerei francesi, americane e italiani, con l’impiego di marines e marò, ma anche di elicotteri con razzi e jet, dunque una forza molto robusta – è che non si fa riferimento al poligono militare Nato di Capo Teulada, nel sud della Sardegna, come era sempre stato, ma l’esercitazione si è svolta fra le coste siciliane e quelle tunisine, a pochissima distanza dalla Libia. “Attività del genere si sono sempre svolte, avevano il loro sbocco a Capo Teulada, però nel momento attuale, visto anche il forte dispiegamento, si tratta di un segnale alla Libia e in particolare ad alcuni degli attori lì presenti, Russia e Turchia comprese”.



Che cosa dice di questa esercitazione? Le forze impiegate sono maggiori del solito. Che segnale si vuole mandare?

Sicuramente è una esercitazione significativa, soprattutto alla luce del momento storico che sta vivendo il Mediterraneo, specie con la situazione in Libia. Dal punto di vista strettamente militare non è niente di particolare, attività del genere si sono sempre svolte nel contesto Nato, e anche la Francia da lungo tempo fa parte della struttura militare. Queste operazioni avevano il loro sbocco a Capo Teulada, però nel momento attuale si tratta di un segnale alla Libia, perché l’esercitazione si è avvicinata alle coste nordafricane.



Indirizzato a chi in particolare?

Si tratta, appunto, di capire questo, perché sappiamo quanto la realtà in Libia sia molto sfaccettata. Serraj non dovrebbe temere niente da americani e italiani, forse dai francesi, ma non dal punto di vista militare, visto che non nascondono la loro opposizione alle politiche di Erdogan e Serraj.

Quindi?

Escluso Serraj, allora potrebbe essere Haftar. È un segnale per dirgli: guarda che contro di te c’è un paese della Nato appoggiato dall’Onu. Oppure potrebbe essere la Russia.

Qualcuno parla della Turchia.

Potrebbe anche essere, ma nel senso di  un segnale per aver portato armi a Serraj. Visto però che siamo di fronte a una mobilitazione considerevole, non si tratta semplicemente di dire: non andare con le fregate Nato a scortare i mercanti di armi. Credo che il segnale sia indirizzato alla Russia. Se le cose venissero lasciate andare al loro corso, si arriverebbe a un accordo fra Erdogan e Putin, una spartizione della Libia con basi russe e creazione di almeno una base turca in Tripolitania.



Potrebbe essere un avviso: attento, ti stai allargando in un’area che consideriamo nostra?

Esatto. Che Trump poi, che ha già tanti problemi, si metta con Macron e con l’Italia per lanciare un segnale bellicoso a Putin è una dimostrazione di presenza. Come ho già detto, era lo scopo delle esercitazioni di una volta: dimostrare determinazione. Ma un altro interlocutore potrebbe anche essere al Sisi, alleato di Haftar e ostile alla Turchia. L’Egitto sta ammassando truppe ai confini, in Libia ci sono in nuce i segni da cui potrebbe partire uno scontro molto più ampio di quello cui abbiamo assistito finora.