L’arresto di Mahmoud Hamza, capo della Brigata 444, la sua liberazione, ma soprattutto scontri tra le milizie che hanno portato a 55 morti. La Libia torna nel caos delle lotte fratricide tra i gruppi armati che controllano fette di territorio. Una recrudescenza delle violenze che potrebbe anche nascondere un tentativo di colpo di Stato nell’Ovest e che, soprattutto, potrebbe non finire qui: i rumors parlano di truppe e armi che affluiscono da Misurata a Tripoli.



Una situazione non ancora chiarita: si sa cosa è successo, spiega Michela Mercuri, docente di cultura, storia e società dei Paesi musulmani nell’università di Padova, ma non perché. E il motivo, comunque tutto da verificare, potrebbe essere, appunto, anche quello di un golpe bloccato nella sua fase iniziale. Di fatto la Libia rischia una nuova destabilizzazione, con conseguenze negative per l’Italia dal punto di vista dei flussi di migranti e degli investimenti economici che sono stati fatti in questa area.



Dopo gli incontri del governo italiano con Dbeibah e Haftar sembrava aprirsi una nuova fase in Libia. Gli scontri di questi giorni dimostrano che la realtà è molto frammentata e che i due più importanti riferimenti politici faticano a controllare anche i loro territori?

Purtroppo dopo un anno di calma piatta in cui non si verificavano più scontri, precisamente dallo scorso 29 agosto, l’ennesima escalation in Tripolitania ci riporta alla realtà. In Libia, nonostante i loro sforzi, i due leader in dialogo con l’Italia e tra loro per cercare di portare il Paese verso le elezioni dimostrano di non controllare ancora il territorio. Che, soprattutto nell’Ovest, è in mano alle milizie. Nell’Est Haftar riesce a gestire meglio la situazione perché controlla l’esercito nazionale libico che risponde ancora prevalentemente ai suoi ordini.



Gli scontri con 55 morti sono nati dopo l’arresto di Hamza. Chi è e cosa rappresenta nello scenario libico? E chi sono le milizie che lo hanno arrestato?

Hamza è il capo della Brigata 444, che è una milizia, piuttosto importante, che si trova a Tripoli. Ed è stato arrestato all’aeroporto di Mitiga da parte di forze della milizia Rada, che è una forza di deterrenza. Ora dovrebbe essere stato liberato. Il problema è che non si conoscono i motivi e le conseguenze della vicenda: si tratta di una semplice lite tra milizie, cosa che accade spesso nell’Ovest, o c’è qualcosa di più? Ci potrebbe essere stato nell’area un tentativo di colpo di Stato da parte di Hamza e delle milizie a lui fedeli? Non lo sappiamo. Fatto sta che Dbeibah non ha ancora rilasciato alcuna dichiarazione ufficiale. Il panorama è ancora piuttosto frammentato e incerto e tutto potrebbe succedere. Secondo fonti non verificate che arrivano da Misurata, la città di Dbeibah, stanno arrivando munizioni, armi e soldati verso Tripoli. Se la notizia fosse confermata questo potrebbe far pensare a una futura escalation di violenze. C’è anche una possibilità che gli scontri non si fermino qui.

Nell’ultimo report del segretario Onu Guterres si parla di traffico di droga, petrolio, esseri umani in Libia. Quanto contano gli interessi dei trafficanti? Ci sono collusioni con il potere?

Dal 2011, l’anno dell’uccisione di Gheddafi e della destabilizzazione della Libia a causa dell’intervento internazionale voluto prevalentemente dalla Francia di Sarkozy, i confini libici sono diventati porosi. Gheddafi riusciva a controllarli, soprattutto quelli con il Sahel. E da qui giungono, ormai da anni, non solo migranti, ma anche armi, droga e merci di contrabbando. Nel valico di Ras Jedir, che si trova tra la Tunisia e la Libia, qualche tempo fa sono stati liberati con un accordo i migranti subsahariani che erano stati espulsi dalla Tunisia. Anche lì si verificano traffici di uomini, armi e droga, ma anche di carburante a basso costo, di elettrodomestici, verdure, generi alimentari. I trafficanti hanno un grandissimo potere. In passato sicuramente ci sono state collusioni fra alcuni trafficanti e le leadership. In questo momento però, in cui si cercava un dialogo istituzionale anche in vista delle possibili elezioni, Dbeibah e Haftar stavano cercando di sganciarsi sempre più dalle milizie per assurgere a un ruolo politico più “presentabile”.

Se la situazione è tornata esplosiva, c’entra anche il golpe in Niger? L’area in questione rischia di essere sempre più instabile?

Non credo che vi sia un collegamento tra il golpe in Niger e quello che è accaduto a Tripoli. Ci sono, però, altri collegamenti: il Niger è il principale snodo di passaggio della maggior parte dei migranti che si dirigono verso le coste libiche e tunisine, in prevalenza subsahariani. Nel Niger destabilizzato non solo pullulano le organizzazioni terroristiche, ma le organizzazioni che lucrano sul traffico di migranti hanno una maggiore autonomia di azione. E questo potrebbe comportare un aumento dei flussi diretti verso la Libia e quindi una maggiore destabilizzazione anche del quadro libico, con un aumento dei flussi verso l’Italia. Negli ultimi mesi il Governo italiano ha lavorato alacremente per accordarsi con Haftar, che si è recato a Roma lo scorso maggio proprio per parlare dei migranti che stavano partendo dalla Cirenaica, prevalentemente egiziani. Ne è nata un’intesa per la gestione di questi flussi. E l’abbiamo raggiunta in qualche modo anche con Dbeibah.

Il problema non sono solo i migranti ma anche i nostri investimenti nella zona.

Abbiamo investito in Libia anche in termini economici: l’Italia ha firmato un memorandum con la Tunisia in cui si parla anche di una interconnesione elettrica che si chiama Elmed e unisce i due Paesi, sono stati siglati importanti contratti, del valore di circa 8 miliardi, da parte dell’Eni per progetti offshore e anche Saipem ha firmato un contratto da un miliardo con la Libia. Tutto questo potrebbe essere messo in discussione da una ulteriore destabilizzazione in particolare dell’Ovest del Paese, in cui c’è la maggior parte degli investimenti.

In questo quadro le elezioni tornano a essere una chimera?

Nell’ultimo anno di calma piatta si era lavorato con la comunità internazionale per indire elezioni nel Paese: è nato il comitato 6+6 per realizzare una legge elettorale, con tante difficoltà, sia per le elezioni parlamentari che per quelle presidenziali. Dbeibah e Haftar, seppur a distanza, avevano cominciato una sorta di dialogo. Se questa situazione di instabilità dovesse perdurare la prospettiva di elezioni nel Paese, che si sarebbero dovute tenere entro l’anno, si allontana drasticamente.

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