“È il più grande fallimento della politica estera italiana dal dopoguerra”, dice al Sussidiario Paolo Quercia, analista di politica estera e docente di studi strategici, tornando a parlare di Libia dopo che ieri le truppe di Haftar hanno preso Sirte e soprattutto dopo le parole di Conte: “Oggi più che mai – ha detto ieri il presidente del Consiglio a Repubblica – investiamo tutto il nostro capitale su una soluzione politica in particolare sostenendo gli sforzi delle Nazioni Unite e, adesso, della Germania nella preparazione della Conferenza di Berlino. Non ci sono altre strade per la pace”.
Come commenta questa dichiarazione, anche e soprattutto alla luce del fatto che la missione a Tripoli dei rappresentanti europei è stata annullata?
Conte ha il problema di essersi trovato tra le mani il più grande fallimento della politica estera repubblicana. Non che ne sia il responsabile. Ma ora si trova a doverne gestire i cocci. Però se si ostina a dire, di fronte a quello che sta accadendo, che la soluzione a questo conflitto è politica e va gestita in ambito Onu e Ue, allora diviene parte del problema.
Ci spieghi bene perché.
Perché così ci si rifiuta di comprendere la natura del conflitto libico. Che è un conflitto politico, dove per politica non intendiamo la diplomazia multilaterale ma la politica di potenza tra Paesi revisionisti e Paesi conservatori dello status quo nel Mediterraneo.
Cos’è la pace in Libia?
È qualcosa che si può raggiungere solo capendo le logiche del conflitto. Logiche che sono collegate con i problemi di una società tribale senza Stato su cui si inseriscono i nuovi giochi di potenza nel Mediterraneo post-americano. Costruire la pace in Libia vuol dire innanzitutto isolare la Libia da queste dinamiche.
Chi poteva farlo?
Potevano farlo solo i libici o gli italiani, in quanto costruttori del concetto geopolitico di Libia. Ma né noi né loro ci siamo cimentati nell’impresa. I libici non potevano; noi non abbiamo voluto.
La missione Ue che non ci sarà doveva essere a guida italiana. Il suo fallimento che cosa significa?
Che abbiamo tentato di tirare l’Unione Europea per la giacca per coprire le nostre incapacità nazionali, ma non essendo noi che diamo le carte, l’Ue si è sfilata. Cogliendo la scusa certo della deteriorata situazione di sicurezza. Haftar, bombardando l’aeroporto di Tripoli dove dovevano atterrare i ministri europei, ha dato loro una buona lezione di strategia. La soluzione del conflitto sarà anche politica, ma sono i militari che decidono quando i politici atterrano e quando no. Meno di un mese fa hanno fatto volare Di Maio in Libia a incontrare i leader delle due fazioni; oggi non lo fanno partire. Questa è politica, non guerra. Nei conflitti, anche quelli a bassa intensità come quello libico, la politica fa un grave errore quando pensa di potersi affrancare dalla grammatica della potenza in nome di una sua superiorità morale.
La Libia è “una delle priorità” per l’Italia ha detto Di Maio su Facebook. “Sono in continuo contatto con i miei omologhi europei e non solo. L’8 sarò al Cairo, poi Algeria e Tunisia”.
Tutte missioni giuste, sia quella al Cairo che quelle in Tunisia ed in Algeria. Andavano però fatte prima. Purtroppo la Libia è sfuggita di mano agli Esteri da troppo tempo. Per un neo-ministro come Di Maio sarà impossibile recuperare il tempo perduto. Il momento complessivo internazionale, con la tensione Usa-Iran, non aiuta certo.
Qual è oggi il destino e il possibile impiego della missione italiana Miasit operante in Libia?
Speriamo che rimanga, sia per il sostegno umanitario che offre sia per il ruolo di supporto alla guardia costiera libica. Certo, se il contesto politico dovesse cambiare radicalmente potrebbe essere necessario riconfigurarla.
Ieri le truppe di Haftar hanno preso Sirte. Vuol dire che Misurata è destinata a cadere presto?
Credo proprio di no. Misurata è un’altra cosa. A Misurata vi sono migliaia di combattenti, mezzo milione di abitanti. E poi credo che Haftar abbia alzato il tiro in preparazione dell incontro Erdogan-Putin che vi sarà domani.
Lei conferma la sua analisi anticipata il mese scorso, quella di un accordo Russia-Turchia?
Sì, confermo. Anzi oggi ci sono ancora più elementi che la rendono probabile. Putin ed Erdogan si incontreranno all’inaugurazione del gasdotto TurkStream. Tra l’altro, sia TurkStream che Nord Stream 2 sono stati recentemente colpiti da nuove sanzioni americane del dicembre scorso. Un motivo in più per cementare l’intesa. Anche l’escalation drammatica dell’uccisione di Soleimani e le nuove tensioni Usa-Iran spingono in questa direzione.
Lo abbiamo già osservato: rimane uno strano accordo, pieno di contraddizioni.
Vero. Ma il fatto che comprenda sia la Siria che la Libia e probabilmente anche i Balcani, rafforza le interdipendenze tra Mosca e Ankara. Lo scrivo da tanti anni in tempi non sospetti, ma la politica estera di Trump e la debolezza di quella europea hanno spinto verso una più stretta collaborazione due Paesi che in realtà sono concorrenti.
Una previsione sulla conferenza di Berlino, anch’essa citata da Conte?
Ratificherà un’intesa turco-russa, con qualche minima concessione agli interessi francesi in Libia e tedeschi.
(Federico Ferraù)