Mentre una seconda data possibile per le elezioni in Libia è sfumata di nuovo il 25 gennaio, anche perché manca ancora una legge elettorale, il paese nordafricano è sottoposto a pressioni e a possibili destabilizzazioni ancor più gravi di quelle che già subisce. Il consiglio municipale del Fezzan, nel vasto sud del paese, ha lanciato l’allarme sulla crescente attività di gruppi terroristici e, allo stesso tempo, la Russia ha respinto la bozza presentata dalla Gran Bretagna per prolungare la presenza dell’Onu nel paese. In questo quadro ci sono però segnali importanti che richiamano l’Italia a riprendere il suo tradizionale ruolo privilegiato con la Libia.



Il sottosegretario agli Esteri libico, incontrando il nostro ambasciatore, ha esplicitamente chiesto che le aziende italiane riprendano i progetti lasciati in sospeso: “È evidente – ci ha detto Marco Bertolini, già comandante della Brigata paracadutisti Folgore a Kabul nel 2008 e capo di stato maggiore Isaf in Afghanistan – che la Libia ha, per così dire, nostalgia dei rapporti che c’erano con l’Italia ai tempi di Gheddafi, ha nostalgia della nostra professionalità e delle nostre capacità. Per tanti motivi, tra cui la paura, ci siamo però allontanati, perdendo quel ruolo di interlocutore privilegiato. Credo che l’Italia debba cogliere la palla al balzo, anche perché una nostra presenza sarebbe importante nella lotta all’immigrazione illegale”.



Nel sud della Libia si segnala una sempre più diffusa attività terroristica. Alla luce di quanto sta succedendo nel Sahel, ritiene che il quadro globale del Nord Africa possa arrivare a una destabilizzazione ancor peggiore dell’attuale?

La presenza nel sud della Libia di tribù Tuareg e altre è un elemento costante, che c’è sempre stato, dovuto, oggi ancor di più, allo scarso controllo dell’area. In assenza di un potere centrale queste tribù hanno sempre operato: i Tuareg sono gli stessi che agiscono in aree del Mali, dove si sta creando una realtà conflittuale grave. Il pericolo di un’estensione della destabilizzazione esiste. D’altro canto la Libia di oggi è il prodotto di quello che abbiamo fatto noi occidentali rovesciando Gheddafi.



Il sottosegretario agli Esteri della Libia ha incontrato il nostro ambasciatore, chiedendo esplicitamente che le nostre aziende tornino  a investire e a lavorare nel paese. A parte l’Eni, ritiene che l’Italia si sia ritirata dalla Libia?

Tornando ai tempi di Gheddafi, l’Italia si era ricavata il ruolo di interlocutore privilegiato con la Libia, ruolo che poi è andato all’aria con tutto quello che è successo. Per la Libia l’Italia resta sicuramente un interlocutore importante e con un po’ di coraggio e di spirito d’iniziativa il nostro paese potrebbe riaprire molte prospettive. La Libia ha bisogno di infrastrutture, che servono alla popolazione, all’agricoltura, alle comunicazioni. Erano stati presi accordi molto importanti ancora ai tempi di Berlusconi e Gheddafi. Credo che la Libia senta la nostalgia di quell’epoca, era un paese sostanzialmente pacificato, con buone prospettive di crescita, poi bloccate dalla guerra. Questa nostalgia è dimostrata dall’appeal di cui ancora gode il figlio di Gheddafi. Non sono pochi quelli che dicono che le elezioni del 24 dicembre non si sono tenute per non dargli la possibilità di vincerle.

C’è il rischio che la Turchia si avvantaggi sempre di più del vuoto lasciato da noi?

Su questo non c’è ombra di dubbio. L’Italia deve essere coraggiosa: se ci tiriamo indietro, come abbiamo fatto fino ad ora, la Turchia, che non ci vuole come gli interlocutori che siamo sempre stati, se ne avvantaggerà. Io spero che l’Italia, non so usare altre parole, sappia cogliere questa palla al balzo per tornare a fare quello che è stato interrotto dalla guerra. Ne guadagneremmo anche noi, oltre che la Libia, perché la nostra classe imprenditoriale ha davanti enormi possibilità di espansione e la Libia è sempre un paese importante per questioni energetiche e geografiche. Ma anche per la lotta all’immigrazione illegale, che si può combattere solo stabilizzando il paese con un impegno forte anche da parte delle aziende italiane.

Tornando al tema delle elezioni, di cui non si vede un futuro, c’è chi sostiene che chiunque le possa vincere, dovrebbe adottare quello che veniva chiamato “sistema Gheddafi”, una redistribuzione del potere e delle ricchezze che non scontenti nessuno. Pensa che possa funzionare ancora?

Onestamente non so se Gheddafi fosse davvero un socialista come mentalità e che sia stato sconfitto dall’intervento di società che hanno impostazioni diverse, se vogliamo più capitaliste. Penso si debba tener conto della realtà del paese, del livello di povertà e delle difficoltà a vivere in determinate aree di un paese che è una grande scatola di sabbia. Chi vive lì non può prescindere dall’aiuto dello Stato.

Sicuramente Gheddafi teneva conto di questa realtà frazionata e divisiva…

Certamente. E in quel senso potrebbe e dovrebbe funzionare, altrimenti ci sarà sempre qualcuno scontento che impugnerà le armi.

(Paolo Vites)

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