Tripolitania e Cirenaica dovrebbero accordarsi per decidere insieme chi sarà il governatore della Banca centrale, carica di fatto vacante dopo che il Consiglio presidenziale ha deposto Al-Siddiq Al-Kabir senza che quest’ultimo abbia accettato la sua destituzione. Una vicenda che sta bloccando l’intero Paese e la produzione del petrolio, pilastro dell’economia libica. Non sarà facile, visti i rapporti tra le parti, ma se la situazione non verrà sbloccata si rischiano la paralisi e disordini per le strade.
Alla soluzione del caso, osserva Michela Mercuri, docente di cultura, storia e società dei Paesi musulmani all’Università di Padova, potrebbe contribuire anche l’Italia, che, in virtù dei contatti con i leader delle due regioni in cui è diviso il Paese, Dbeibah e Haftar, avrebbe la possibilità di mediare. Si fa sempre più ingombrante, intanto, la presenza dei russi che appoggiano le forze della Cirenaica e l’esercito guidato da Saddam Haftar, figlio del generale Khalifa. L’intraprendenza di Mosca finora non è stata contrastata dalla Turchia, alleata di Dbeibah, forse perché Erdogan spera di entrare nei BRICS e per il momento ha bisogno di tenersi buono Putin.
La Camera dei rappresentanti di Tobruk e l’Alto Consiglio di Tripoli hanno firmato un accordo che le impegna ad arrivare entro 30 giorni (il termine dovrebbe scadere a fine settembre-primi di ottobre) alla nomina congiunta del governatore della Banca centrale. Davvero riusciranno a trovare un’intesa? Su che basi?
Sarà difficilissimo trovarla, ma sarà necessario farlo: la Banca centrale deve ricominciare a erogare gli introiti delle rendite energetiche. È importante per le milizie dell’Est e dell’Ovest, ma anche per la gente e per gli stipendi di tutti. Si rischiano continui disordini. Un’intesa che dovrà convergere su una figura che metta d’accordo Dbeibah, che governa l’Ovest, e Haftar, che governa l’Est, ma soprattutto le rispettive milizie, che aprono e chiudono i pozzi petroliferi quando vogliono. L’Italia, che ha rapporti con entrambi i leader libici, potrebbe fare la sua parte, così come l’Egitto (più vicino a Tobruk) e la Turchia (vicina, invece, a Tripoli).
La questione, rimasta irrisolta, della sostituzione di Sadiq al Kabir alla guida dell’istituto bancario ha portato a un brusco rallentamento della produzione e quindi dell’esportazione del petrolio. Con quali conseguenze per il Paese e per gli interessi dell’Italia?
Il blocco dell’estrazione e della vendita di petrolio voluto dagli attori dell’Est, da Khalifa Haftar e suo figlio Saddam, ha portato grossi problemi nel Paese. L’Italia è il primo importatore di petrolio libico e, tra tutti i Paesi, è quello che sta risentendo di più di questa decisione. Per ora la situazione è sotto controllo, ma nel lungo periodo potrebbe peggiorare.
Sia Haftar (prima) che Dbeibah (dopo) hanno avviato contatti con la giunta militare golpista del Niger. Ora Tripolitania e Cirenaica si contrappongono anche a livello di politica estera? Queste due parti del Paese agiscono sempre di più come Stati a sé stanti?
Le due parti continuano ad agire come entità completamente separate. Si era sperato solo per un attimo, fino ad aprile, che ci fosse la possibilità di riunirle per individuare un cammino comune che portasse alle elezioni, ma i fatti dimostrano che in questo momento è impossibile. È stato Haftar per primo a recarsi nella base di Madama, con l’intenzione di utilizzarla per le sue attività, e poi a Niamey, la capitale. Nel Niger c’è stato un colpo di Stato voluto dalla Russia, alleata di ferro di Haftar: Mosca ha uno snodo a Tobruk fondamentale per far passare le armi verso il Sahel. Ultimamente una parte delle tribù del Niger si stava rivoltando proprio contro i russi; è probabile che si stiano appoggiando ai libici per recuperare alcune postazioni all’interno del territorio nigerino.
L’esercito che fa capo a Haftar, guidato dal figlio Saddam, ha mosso le truppe prima verso l’oasi di Ghadames e poi verso altri obiettivi: che fine ha fatto questa operazione, qual è il vero obiettivo?
L’operazione guidata da Saddam Haftar è funzionale alle intenzioni dei russi per far passare le armi verso il Mali. Anche lì c’è stato un colpo di Stato sostenuto dai russi e alcune tribù si sono ribellate: si parla di 50-60 militari dell’Africa Corps, l’ex Wagner, uccisi, e altrettanti presi in ostaggio. Per ora è una vicenda sulla quale è calato il silenzio, anche in funzione degli ostaggi che sono rimasti nelle mani delle tribù locali.
Le sinergie di Haftar con i russi sembrano sempre più strette: come la strategia di Mosca condiziona il Paese? È uno degli ostacoli alla riunificazione?
Sicuramente Mosca sta utilizzando le relazioni con Haftar per tanti motivi: per avere un alleato importante e un hub per allargarsi in Africa, ma anche per contrapporsi all’Ovest libico, sostenuto dalle potenze che appoggiano la causa ucraina. La Russia sta proiettando in Africa, nella fattispecie in Libia, le problematiche relative alla guerra in Ucraina.
I turchi e gli occidentali, invece, che ruolo stanno giocando?
Per ora i turchi sono fermi perché non vorrebbero rompere i rapporti con la Russia, anche in vista di un possibile ingresso nei BRICS. Una circostanza che gioca a favore di Mosca. Non sappiamo quanto permetteranno, non tanto ai russi quanto ad Haftar e alle milizie dell’Est, di avvicinarsi all’Ovest, dove hanno basi strategiche e interessi economici. Per quanto riguarda l’Occidente, e mi riferisco in particolare all’Europa, è ancora diviso, non si rende conto della gravità della situazione, delle eventuali conseguenze del blocco del petrolio, specialmente nel lungo periodo. Per risolvere la vicenda interna, che non riguarda solo la Banca centrale ma anche la politica, la stabilità e la sicurezza stessa del Paese, ivi compresi i movimenti terroristici e jihadisti, ci sarebbe bisogno di un’Europa forte e coesa. Ma non la vedo.
(Paolo Rossetti)
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