“Ho avuto ampie rassicurazioni di come, sebbene sia ben chiara la percezione dell’importanza dell’impegno turco in Libia, l’Italia rimane per Tripoli un partner fondamentale, assolutamente irrinunciabile e insostituibile”, ha detto il ministro degli Esteri Di Maio al temine della missione a Tripoli in cui ha incontrato il premier del Governo di accordo nazionale libico, Fayez al Serraj.



La Libia è disponibile a modificare il memorandum di intesa italo-libico del 2017, assecondando le richieste di Roma per quanto riguarda la tutela dei migranti. L’Italia ricostruirà l’aeroporto internazionale di Tripoli, chiuso dal 2014, e sminerà una parte di territorio superiore ai 100 km quadrati inizialmente previsti.



Abbiamo fatto un bilancio della situazione con Mauro Indelicato, direttore di InfoAgrigento.it e collaboratore de ilGiornale.it, dove scrive di politica estera e segue il dossier migratorio. Sono proprio le politiche migratorie il tasto debole del governo Conte, non tanto per la Libia, quanto per le inadempienze europee. I ricollocamenti stanno a zero e “20mila migranti già in procinto di partire in Libia sono una cifra che appare realistica e verosimile”.

Qual è la tua prima valutazione del vertice di Tripoli?

La visita del ministro Di Maio si è svolta su toni più cordiali del previsto: piuttosto che evidenziare le incongruenze ed i dissidi sui diversi punti tra le due parti, sia il nostro titolare degli Esteri che il premier libico hanno sottolineato l’importanza di collaborare.



C’è un motivo preciso?

Entrambi i governi hanno tutto l’interesse a non mostrarsi distanti l’uno dall’altro, diversamente l’Italia darebbe l’immagine di un Paese fuori dal dossier, mentre la Libia di un governo oramai sotto il monopolio dell’influenza turca. C’è quindi tutta la volontà delle parti di superare le varie divergenze ed a lavorare su una strada comune.

Il fatto che da parte libica siano state presentate delle proposte di modifica del memorandum, va in questa direzione?

Sì. È il segnale che Tripoli ha intenzione di approfondire la questione posta mesi fa dall’Italia. Anche su Irini i toni appaiono meno tesi, le distanze però restano: Al Serraj vorrebbe una missione “globale”, come l’ha definita lo stesso premier libico, ossia che sia solo navale e non riguardi solo l’ovest della Libia. Richieste che difficilmente verranno esaudite.

Si può dire che la scommessa dell’Italia su Serraj alla lunga è risultata vincente?

Al Serraj è ancora in sella, nonostante dal giorno successivo al suo insediamento sia partito il conto alla rovescia per la sua rimozione. Spesso è apparso debole politicamente e militarmente, alla fine però è oramai da quattro anni che l’attuale premier guida il governo libico. Paradossalmente sono passati più presidenti del Consiglio italiani che premier libici dal 2016 in poi.

Quindi?

Da parte di Roma la scelta di non abbandonare Al Sarraj in tutti quei momenti in cui sembrava in procinto di cadere è stata giusta. Anche perché lo scenario libico è molto strano.

Che cosa intendi?

Fino a pochi mesi fa Haftar sembrava l’attore più forte in grado di controllare i due terzi del Paese, oggi invece è in difficoltà ed ha lasciato la Tripolitania mentre Al Serraj si gode le ultime conquiste arrivate grazie all’appoggio turco. Non sempre in Libia l’impressione immediata è quella, alla distanza, che si rivela la più esatta.

L’Italia ha perduto definitivamente il suo peso politico in Libia?

Siamo drammaticamente indietro. Ed è solo causa nostra: abbiamo lasciato uno spazio vuoto prontamente occupato dalla Turchia. Erdogan, in questa occasione, si è dimostrato semplicemente con i riflessi più pronti di quelli nostri e di quelli dell’Europa. Però la storia ci insegna che i rapporti tra Italia e Libia vanno oltre gli aspetti politici e le difficoltà date da un determinato periodo.

Hai motivi per essere ottimista?

Anche in passato Roma è tornata ad avere una forte influenza nel Paese nordafricano quando tutto sembrava perduto. Basti pensare al periodo successivo alla cacciata degli italiani del 1970. Quindi la storia dà ancora alcune chance all’Italia, nonostante tutto. Potremmo sfruttare nei prossimi anni la conoscenza del territorio ed il nostro know how.

Qual è la tua valutazione della nostra politica energetica nell’area, anche in rapporto all’evolversi della situazione libica?

L’Eni ha molti interessi in Libia e nell’area e si sta muovendo molto bene. Continuiamo ad essere presenti in Libia, in Egitto siamo protagonisti nelle zone dei giacimenti offshore, a largo di Cipro l’Eni assieme a Total gioca una parte importante negli appalti dei vari lotti assegnati. Ovviamente però le politiche energetiche portate avanti da una compagnia di Stato non possono non risentire delle azioni del governo. E da questo punto di vista, il fatto di rischiare di perdere molte delle nostre posizioni in Libia potrebbe rappresentare un grave smacco.

Recentemente hai dedicato la tua attenzione ai ricollocamenti. Vuoi dirci i numeri più significativi?

Do un numero in particolare, lo zero: è questo il dato messo nella casella del report del Viminale che riguarda i ricollocamenti effettuati in questo 2020. Nessun migrante è stato portato nei Paesi che avevano dato disponibilità ad ospitare quote di persone sbarcate in Italia.

Come si spiega questo fallimento?

Il governo continua a premere in sede europea sulla necessità di meccanismi automatici di ricollocamento, tuttavia non c’è volontà a livello comunitario a simili modifiche. Questo appare ben chiaro, eppure quella di una “solidarietà europea” per qualche motivo viene presentata dall’esecutivo come l’unica via per risolvere l’emergenza migratoria.

Qual è attualmente l’andamento dei flussi migratori Libia-Italia e chi li governa?

Il numero dei barconi pronti a salpare è in costante aumento, i servizi segreti hanno parlato di una cifra intorno ai 20mila migranti già in procinto di partire in Libia, cifra che appare realistica e verosimile. Questo dà l’idea di quello che sta accadendo dall’altra parte del Mediterraneo: le organizzazioni criminali hanno ripreso ad organizzare centinaia di viaggi della speranza, spingendo verso il mare migliaia di migranti.

E cosa prevedi?

Purtroppo in vista dell’estate 2020, nonostante l’emergenza Covid, non vedo buone prospettive: potremmo vivere mesi molto duri, in grado di mettere in grave difficoltà il sistema di accoglienza del nostro Paese, con numeri vicini ai periodi più bui sul versante migratorio. Ed oltre alla Libia, occhi aperti anche sulla Tunisia.

Perché?

Qui le organizzazioni criminali locali collaborano con quelle libiche e questo vorrebbe significare altre centinaia di persone avviate verso Lampedusa e dunque verso l’Italia.

(Federico Ferraù)