Libia in crisi, divisa, destabilizzata e oggetto degli interessi stranieri. Ora anche di quelli americani, che sono tornati a occuparsi di questo dossier per contrastare l’attivismo russo: Mosca vorrebbe una base navale in Cirenaica, dove far approdare i suoi sommergibili nucleari. Un problema non da poco per gli USA e anche per l’Italia, che si troverebbe armi nucleari russe a un tiro di schioppo. Pure la Francia ha acceso i riflettori sulla Libia. Come spiega Michela Mercuri, docente di cultura, storia e società dei Paesi musulmani nell’Università di Padova, l’iniziativa di Macron è una risposta alla conferenza Italia-Africa tenutasi a Roma e alla presentazione da parte del governo Meloni del piano Mattei.
I francesi, insomma, vogliono correre per conto loro, cercando di riannodare il filo del processo politico di riunificazione in vista di possibili, ma non probabili a breve, elezioni presidenziali. L’Italia, forte dei contratti firmati dall’Eni, resta un attore importante nell’area, ma deve guardarsi dalla Turchia e dai suoi legami con Dbeibah, leader dell’Ovest del Paese, anche se sarà obbligata a tenere i contatti con Ankara, soprattutto per il controllo del flusso dei migranti. Un tema questo che riguarda anche il Niger, punto di passaggio per coloro che vogliono arrivare sulle coste libiche e imbarcarsi per l’Europa, appoggiato dai russi e molto vicino ad Haftar, leader della Cirenaica.
La Libia sembra in un momento di grande fermento. Qual è la ragione del rinnovato interesse degli USA per il Paese? Può diventare un terreno di scontro con i russi?
Il rinnovato interesse degli USA per la Libia è dovuto al fatto che la Russia si sta rafforzando notevolmente in Cirenaica, sfruttando la disattenzione della comunità internazionale nei confronti del teatro ucraino in favore di quello mediorientale. Mosca vorrebbe portare sottomarini nucleari in una base dell’Est libico, grazie all’appoggio dell’uomo forte di quella regione, il generale Haftar: un’iniziativa che implicherebbe un rafforzamento militare e navale in una zona strategica del Mediterraneo e che darebbe qualche preoccupazione anche all’Italia, che si troverebbe armi nucleari russe alle porte. Una circostanza niente affatto rassicurante. La Russia si sta rafforzando in Africa, lo abbiamo visto anche dal sostegno dato ai golpisti in Niger. Non solo, vorrebbe aprire una base militare in Centrafrica, altro elemento che preoccupa gli USA. Per questo l’interesse americano per la Libia credo possa estendersi a tutto il continente africano in chiave antirussa.
Anche i francesi sembrano avere un loro piano. In cosa consiste e quali appoggi e contatti possono vantare per realizzarlo?
La missione di Paul Soler, inviato dal presidente Macron per incontrare diversi leader locali, il rappresentante dell’ONU, il presidente del Consiglio presidenziale libico Mohamed al Menfi e altri ancora, è una contromossa per mostrare all’Italia, che si è esposta molto in tutto il Nordafrica con il piano Mattei, che anche la Francia vuole avere un suo ruolo. Invece di unirsi a Roma, Parigi porta avanti una sua strategia in competizione con l’Italia.
Con quale obiettivo?
Coinvolgere nel dibattito il numero più alto possibile di rappresentanti libici: sono stati contattati più di 30 politici, ma sono previste anche ulteriori consultazioni con esponenti dell’economia e della società civile. Tutto questo per gettare le basi di un nuovo governo in vista di quelle elezioni presidenziali e parlamentari che si sarebbero dovute svolgere già da tempo. Il piano francese non ha nulla di nuovo. L’iniziativa non a caso è arrivata dopo la conferenza Italia-Africa che si è svolta a Roma: la vedo come una ulteriore sfida alla proposta italiana del piano Mattei.
Sembra che grazie a Dbeibah anche il principe ereditario al Senussi cerchi di accreditarsi come mediatore tra le parti. Può giocare un ruolo nella riunificazione?
La tribù della Senussia, dall’impero ottomano all’occupazione italiana, alla monarchia di re Idris nel 1951, è sempre stata un attore fondamentale della Libia, che solo il colpo di Stato di Gheddafi è riuscito a scalfire. Tutto questo potrebbe giocare a favore di Senussi, rientrato dal suo esilio londinese, in un momento in cui la Libia è particolarmente divisa. Non sappiamo se potrà imporsi come mediatore fra le varie anime del Paese, è indubbio però che la forza della Senussia, soprattutto nell’Est libico, è indiscutibile. Se riuscisse grazie a Dbeibah a dialogare anche con gli attori dell’Ovest, il suo tentativo di mediazione potrebbe aggiungersi a quello di altri. Che riesca a ottenere dei risultati è tutto da vedere.
Il governo Dbeibah cerca di allacciare rapporti con il Niger per evitare che si allei con Haftar. Perché sono importanti i rapporti con questo Paese?
Il rapporto con il Niger è fondamentale perché da lì transita la maggior parte dei migranti diretti in Libia. In questo momento, però, anche per il sostegno dato da Mosca ai golpisti, è molto più vicino alla Russia e quindi, per la proprietà transitiva, ad Haftar, visti i legami di quest’ultimo con i russi stessi. Quello di Dbeibah è un tentativo. Il Niger, poi, confina con il Fezzan libico, area in cui sono presenti formazioni jihadiste e terroristiche.
È ricomparso anche lo Stato islamico. Quanto pesa in Libia e come controlla il flusso dei migranti?
È una formula per così dire matematica: quando uno Stato è particolarmente destabilizzato, come lo è la Libia in questo momento, tornano le organizzazioni terroristiche. Per questo sono rientrate nel Paese, dove il traffico dei migranti è un business, ora favorito dal fatto che il regime golpista del Niger ha abolito la legge 36 del 2005 che rendeva l’immigrazione illegale.
Gli interessi petroliferi USA, quelli della Turchia e di altri Paesi NATO come la Francia possono danneggiare l’Italia? Quali sono i pericoli per noi e come possiamo muoverci in vista del piano Mattei, considerando la presenza dell’Eni?
Fra tutti questi attori sottolineerei soprattutto la Turchia, che già da qualche anno ha sottoscritto accordi con l’Ovest libico per l’esclusiva dell’estrazione di gas e petrolio. Questo probabilmente è stato uno dei motivi del recente incontro fra il presidente Erdogan e la premier italiana Giorgia Meloni. Sicuramente con il piano Mattei e con l’Eni, che lavora in Libia dagli anni 50, abbiamo delle importanti carte da giocare: nel gennaio 2023 l’Eni ha firmato un contratto con la NOC, la società petrolifera libica, per 8 miliardi di euro per nuove esplorazioni di giacimenti di gas, ma anche per energie rinnovabili. Tutto questo si inserisce all’interno del piano Mattei, che non prevede solo accordi in termini energetici, ma anche altre importanti intese a livello culturale, di formazione, agroalimentare e industriale. La Turchia comunque rimane un attore fondamentale dell’Est libico che difficilmente l’Italia riuscirà a scalzare con il suo piano, ma con cui dovrà, piaccia o meno, addivenire a degli accordi.
(Paolo Rossetti)
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