Solo pochi mesi fa l’Egitto aveva minacciato di intervenire militarmente in Libia se gli scontri in atto fra le due fazioni di Tripoli e Bengasi fossero arrivati a una ipotetica linea rossa troppo vicina al Cairo. Erano ancora i tempi in cui la guerra civile libica aveva contorni preoccupanti. Adesso, in un incontro tenutosi al Cairo tra il ministro degli interni del Governo nazionale libico, quello di Tripoli, Fathi Bashagha, e il governo egiziano, si è realizzato quello che Sherif El Sebaie, opinionista ed esperto di diplomazia culturale, ha definito “un enorme passo avanti per porre fine alle ostilità tra i due paesi”. Si è infatti trovato un accordo per interrompere ogni attacco al governo egiziano che, come è noto, sostiene la fazione opposta, quella del generale Haftar, e contro ogni violenza agli egiziani residenti in Libia. La cosa contraddittoria sta però nel fatto che il Cairo ha ribadito il suo sostegno ad Haftar, anche se allo stesso tempo ha dichiarato di voler sostenere la candidatura di Bashagha a futuro premier del nuovo governo libico di unità nazionale: “È un po’ la mossa di chi vuole tenere il piede in due scarpe, non per ipocrisia, ma per ragioni di sicurezza. L’Egitto sa bene che ci vorrà molto tempo prima che la Libia arrivi a una stabilizzazione interna e intanto ritiene Haftar un alleato affidabile”.



Non è una contraddizione che l’Egitto abbia detto di voler continuare a sostenere Haftar e allo stesso tempo abbia dato il via libera per un incarico a Bashagha, ministro degli interni di Tripoli, a futuro premier del nuovo governo di unità libico?

La politica è fatta di contraddizioni. L’Egitto evidentemente in questi anni ha ritenuto Haftar un alleato affidabile, di cui non può fare a meno e a cui non si può dire da un giorno all’altro che non serve più.



Un ragionamento all’interno di un’ottica su un futuro ancora lontano?

Sì, fin quando la situazione in Libia non sarà pienamente stabilizzata, non si può certo far finta di niente, che non ci sia cioè un pericolo incombente ai confini con l’Egitto. Siccome la realtà ha dimostrato che i libici litigano continuamente, fanno e disfano gli accordi appena conclusi, non si può che aspettare lo svolgimento degli eventi in attesa di una stabilizzazione. Haftar rimane l’interlocutore del Cairo, è una garanzia, dato che controlla quella metà della Libia confinante con l’Egitto.

Tra i tanti paesi, dagli Emirati Arabi alla Turchia, che si sono intromessi nel quadro libico, è giusto dire che l’Egitto sia quello che ha più diritto a prendere decisioni?



Certo, perché tutti gli altri paesi hanno in ballo interessi geopolitici o economici, mentre per l’Egitto è un problema di sicurezza nazionale e di stabilità interna.

È possibile immaginare, proprio grazie al ruolo dell’Egitto, una Libia stabile e moderata?

Tutto è possibile. Speriamo tutti che la Libia, che ha un ruolo e grandissime risorse economiche di cui tutti dovrebbero beneficiare, possa trovare la pace, però la storia ci insegna che uno scontro fra interessi diversi, specie quando sono molte le risorse economiche in gioco, può trascinarsi a lungo, come in Afghanistan o in Somalia. Ma ci sono anche paesi come il Sudan, che con il recente accordo di pace con i ribelli si sta mettendo su una strada di maggiore stabilità e pace. 

Si può dunque affermare che questo incontro abbia avuto un significato importante?

Assolutamente sì. C’è un indubbio ed enorme passo avanti rispetto a qualche mese fa, quando l’Egitto aveva dichiarato che c’era una linea rossa in Libia da non oltrepassare e che, qualora fosse stato fatto, sarebbe intervenuto militarmente.

Anche la Turchia è pesantemente coinvolta in Libia: come sono i rapporti tra Ankara e Il Cairo?

Sono pessimi. Non ci sono relazioni diplomatiche, ma solo continui scambi di accuse a vari livelli. È evidente che la Turchia si è immaginata questo ruolo di guida dell’islam con un peso e una influenza fuori del suo usuale raggio di azione. Nel momento in cui questa ambizione impatta con le priorità strategiche dell’Egitto si accende lo scontro. Ma questo ha radici che affondano indietro nel tempo, anche di natura ideologica. Erdogan è un sostenitore della Fratellanza musulmana, che è invece fuorilegge in Egitto, e non ha mai riconosciuto al Sisi come presidente.

Mi corregga se sbaglio, ma a parte l’Egitto non sembra che gli altri paesi musulmani abbiano mai preso posizione contro Erdogan. È così?

Apertamente non si sono registrate prese di posizione forti, ma le azioni parlano meglio delle parole. I paesi del Golfo, eccetto il Qatar, sono schierati con l’Egitto su tutti i fronti, militare ed economico, il che la dice lunga su quello che pensano della Turchia.