Khalid Al Mishri, presidente dell’Alto consiglio di Stato, il Senato libico, ha accusato formalmente il premier del governo di unità nazionale, Abdelhamid Dbeibah, di aver impedito una sessione dei parlamentari per votare su base costituzionale e discutere la questione delle posizioni sovrane dopo che la Forza di protezione della costituzione, operante sotto il ministero della Difesa, avrebbe assediato il quartier generale del Consiglio, impedendo ai suoi membri di accedere all’edificio. Dbeibah ha smentito che l’episodio sia accaduto per suo ordine e che sia stata impiegata una forza militare governativa.
Come ci ha detto in questa intervista Michela Mercuri, docente di storia contemporanea dei paesi mediterranei nell’Università di Macerata ed esperta di Libia, “si tratta solo dell’ennesimo episodio che dimostra la divisione interna del Paese, una divisione che non si placa per una serie di motivi e soprattutto per il disinteresse della comunità internazionale, la quale non si muove secondo un piano preciso, ma solo davanti a fenomeni di estrema gravità”.
Secondo vare fonti, sarebbe in atto un vero e proprio tentativo di eliminare Dbeibah: il capo della Camera dei rappresentanti, Aguila Saleh, e quello del Senato, Khalid Al Mishri, avrebbero ravvicinato le loro posizioni nel tentativo di mettere fine al governo di unità nazionale.
L’episodio che è accaduto a Tripoli e sul quale le informazioni sono molto fumose fa parte di un vero progetto per eliminare dai giochi il premier libico Dbeibah?
È uno dei tanti esempi della divisione interna del Paese. La Libia è spaccata più che mai, gli attori interni non riescono a garantire una linea di dialogo istituzionale che possa portare a elezioni. Dietro a questo c’è il problema fondamentale: la gestione delle risorse energetiche, petrolio e gas. Sarebbe necessario un maggior interesse della comunità internazionale, che è di fatto assente. Un ruolo importante lo potrebbe svolgere l’attuale inviato speciale dell’Onu, Abdullahye Bathily, che essendo un senegalese è più vicino alla realtà libica. Ma nel contesto attuale il suo compito risulta difficile.
Le fazioni rivali intanto continuano a essere rifornite di armi da partner stranieri come Turchia, Russia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti. La presenza russa, secondo alcuni, nonostante la guerra in Ucraina, si sarebbe addirittura rafforzata. Ed Erdogan che sta facendo?
Nonostante i numerosi appelli a espellere le forze straniere, nulla è cambiato. È significativo che le forze di Haftar abbiano pubblicato immagini dei caccia russi Mig-29 di stanza presso la base aerea di Al Jufra, nella Libia centrale. La guerra in Ucraina non ha ridotto di nulla, tutt’al più pochissimo, la presenza russa in Libia. Mosca continua a considerare la Libia la sua proiezione nel Mediterraneo e quanto vi succede è una proiezione esterna dello scontro in atto in Ucraina, tanto che gli Usa hanno chiuso un occhio sul fatto che la Turchia continui a fornire droni e ad addestrare milizie libiche. Hanno chiuso un occhio anche sull’accordo tra i due Paesi che concede alla Turchia lo sfruttamento comune di nuovi giacimenti individuati nel Mediterraneo.
Secondo Adel Karmous, membro dell’Alto consiglio di Stato, “se le elezioni si svolgeranno durante il mandato di questo governo di unità nazionale ciò porterà a una netta divisione in Libia. perché l’est del Paese non accetterà i risultati dell’ovest e viceversa”. E ha aggiunto che “cercheremo di unificare l’autorità esecutiva al fine di raggiungere elezioni accettabili da tutte le parti”. Come potrà farlo? Eliminando Dbeibah?
Senza Dbeibah ci sarebbe ulteriore caos. È il leader voluto dalla comunità internazionale, ma ha ragione Karmous a dire che la vittoria del candidato di una o dell’altra parte scatenerebbe solo la reazione di chi ha perso. È necessario stabilizzare il Paese con una autorità unica, accettata da tutte le parti, e poi procedere al voto. Il grande errore che è stato fatto a partire dalla Conferenza di Parigi, che aveva auspicato elezioni per il 24 dicembre dello scorso anno, è stato quello di pensare che le elezioni potessero stabilizzare il Paese; è vero invece il contrario. Una elezione non stabilizza un Paese, solo un Paese stabilizzato può permettere che il voto attecchisca sul territorio.
In che modo?
Una possibile road map per arrivare al voto potrebbe essere questa. Interessarsi della Libia in modo costante, perché al contrario ci si interessa di lei in maniera saltuaria, solo quando avvengono eventi di una certa gravità. In questo modo non si va da nessuna parte. Ci vuole un piano monitorato dalla comunità internazionale, in cui l’Italia potrebbe giocare un ruolo molto importante. Bisogna depotenziare le milizie che operano soprattutto a ovest, perché in Cirenaica Haftar riesce a controllarle, e poi espellere o almeno limitare il potere degli attori esterni.
Che cosa fa oggi Haftar?
Haftar ha appoggiato la candidatura di Bashagha, ma in realtà è un battitore libero. Chiede attenzione, vuole essere l’interlocutore internazionale e lo fa con i suoi metodi: ieri con il sequestro dei pescatori italiani, oggi aprendo i rubinetti dei flussi migratori, anche se va detto che questo adesso viene fatto in minima parte. Sono avvertimenti all’Italia, che si traducono con un “ci sono anch’io, sono io che controllo le milizie dell’est, io Haftar devo essere un interlocutore”. C’è poi un ulteriore motivo di malumore per Haftar.
Quale?
Come tutti sanno, gran parte del petrolio libico viene estratto in Cirenaica, ma può essere venduto solo attraverso la Noc, l’unico ente petrolifero nazionale riconosciuto dalle Nazioni Unite, e questo viene fatto in Tripolitania. Vista la gestione problematica di questo periodo storico, i proventi entrano in gran parte nelle tasche delle milizie che sono in Tripolitania. E Haftar non è ovviamente contento di questa situazione.
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