Nonostante le molte notizie contraddittorie che giungono dalla Libia e nuovi scontri alla periferia meridionale di Tripoli, secondo il giornalista, scrittore e inviato di guerra Gian Micalessin “c’è finalmente una schiarita nella vicenda libica, anche se noi non possiamo vederla perché tenuta sotto la cenere”. Proprio ieri i due fronti che si combattono, quello di Tripoli e quello di Tobruk, si sono riuniti per la seconda volta in Marocco, alla presenza dell’Alto Consiglio di Stato di Tripoli e della Camera dei rappresentanti di Tobruk. Non ci si aspetta chissà quale risultato, sottolinea ancora Micalessin; lo sforzo diplomatico, e non solo, messo in atto da alcuni mesi dagli Stati Uniti sta portando importanti risultati, “dal cessate il fuoco alla ripresa delle esportazioni congiunte del petrolio fino all’allontanamento contemporaneo di turchi e russi dalla Libia”.



Che risultati può portare questo secondo round di dialogo tra le parti libiche? Tripoli è ancora sotto assedio e Serraj è volato ad Ankara per rassicurare “l’amico” Erdogan.

In verità bisogna vedere qual è il ruolo degli Usa che sono il giocatore, diciamo, oscuro di questa partita libica e che hanno già messo a segno dei punti determinanti.



Quali?

Il cessate il fuoco, innanzitutto, e il sì di Serraj alle sue dimissioni, previste per la fine di ottobre, per dare il via alle consultazioni per la creazione di un nuovo governo di unità nazionale. Le sue dimissioni significano anche la messa fuori gioco della Turchia, che per questo è molto preoccupata, nonché il contenimento della Russia, che aveva acquisito una base strategica posizionando i suoi aerei in Libia.

C’è dunque grande movimento da quando gli Usa sono entrati nella partita libica?

Sì, questa è la grande partita che si gioca sotto la cenere, di nascosto. Il ruolo degli Usa, come ha ricordato Pompeo nella sua visita a Roma, è aver messo in campo un enorme sforzo negoziale, non reso pubblico ma molto pesante, e che presenta vari aspetti.



Quali?

Non è solo un impegno negoziale, diplomatico, ma anche economico e probabilmente militare, anche se noi non ne siamo al corrente.

C’è anche l’importante accordo che ha visto la ripresa della vendita congiunta del petrolio.

Esatto, è un altro grande gioco condotto in porto da Washington, anche se l’America non ha interesse per il petrolio libico, ma questo risultato ci dice che gli Usa sono rientrati nella partita perché c’è un interesse politico: contenere cioè la Russia, che Haftar, a giudizio degli americani, aveva introdotto in modo troppo pericoloso in Libia.

Serraj intanto avrebbe già nominato il suo successore, anche lui filo-turco. Questo significa che sbarazzarsi di Erdogan, impegnato su sempre più fronti, compreso adesso l’Azerbaijan, non sarà così facile?

Proprio il fatto che sia così impegnata su tanti fronti rende la Turchia estremamente pericolosa e invisa a molti paesi, dagli Stati Uniti alla Francia e ad altri Stati europei. Ankara gioca su tanti fronti e proprio questo la potrebbe rendere più vulnerabile.

E di Haftar cosa resta? Continua a lanciare le sue truppe contro Tripoli nonostante il cessate il fuoco.

Haftar è fuori gioco da mesi. I primi a escluderlo sono stati i russi, poi ha perso l’appoggio degli Emirati Arabi e dell’Egitto, grazie agli Usa. Controlla ancora i territori e ha una sua forza militare, come stiamo vedendo nella complessa vicenda dei pescatori italiani fermati dalle sue motovedette al largo della Libia, ma non è più un personaggio che ha un futuro.

Si può dire che la vicenda libica finalmente si stia avviando verso una soluzione?

Sì, secondo me sì, non in modo evidente, ma il ruolo decisivo degli Stati Uniti ha determinato la svolta tanto attesa.

(Paolo Vites)