Prima dava retta a tutti, certamente ai russi, con i quali ha stabilito da tempo una collaborazione, ma anche agli occidentali, visto che poi, nonostante sia il leader di fatto della Cirenaica, è anche cittadino americano. Khalifa Haftar, però, ora sembra aver fatto una scelta di campo: la missione di suo figlio Saddam a Niamey, per stringere un accordo con il Niger, fa pensare a un appoggio diretto agli interessi di Mosca, nuova alleata della giunta golpista che dall’anno scorso governa il Paese.
Una decisione, spiega Mauro Indelicato, giornalista de Il Giornale e di Inside Over, che potrebbe anche danneggiarlo, visto che ora dagli occidentali rischia di venire bollato come nemico, e che comunque aumenta le variabili per comprendere la sempre più caotica situazione libica. La questione della guida della Banca centrale non è ancora stata risolta, le milizie sono in subbuglio ed è stato anche ucciso Al Bidja, il trafficante di uomini diventato comandante dell’Accademia navale libica. La confusione, insomma, regna sovrana, ma l’Occidente non si fa ancora sentire.
Saddam Haftar è stato in Niger per finalizzare un accordo con le autorità di Niamey che prevederebbe l’uso della base francese di Madama, situata in un’area cruciale per i flussi migratori e i collegamenti con il Sahel. La famiglia che controlla la Cirenaica sta pensando in grande?
Si tratta di un accordo se non mediato quanto meno suggerito dalla Russia: Haftar è molto vicino a Mosca e la giunta nigerina insediatasi nel 2023 è orientata verso i russi in funzione antifrancese e antioccidentale.
Che ci fossero rapporti fra Haftar e i russi è cosa risaputa, ma qui il ruolo di uno dei due leader della scena libica è cambiato: sembra ragionare ormai da alleato. È così?
Haftar ha un difetto: privilegia il breve termine rispetto al lungo termine. La sua forza in questa fase era dettata dal fatto che poteva essere corteggiato sia dalla Russia sia dagli USA: ha vissuto 30 anni negli Stati Uniti, che avevano interesse a sostenerlo in chiave anti-Putin. Facendo questa scelta di campo, il suo vecchio ruolo viene a cadere: è un attore vicino esclusivamente a una delle parti in causa. Per lui è un grande rischio. Non è detto che il Cremlino voglia investire in eterno su Haftar e gli equilibri in Libia sono molto volatili: se diventi partner di fiducia di un solo soggetto internazionale, rischi di farti più nemici. Paradossalmente, Haftar potrebbe indebolirsi per questa scelta.
Haftar ora sembra protagonista della scena. Le forze dell’esercito nazionale libico, guidate dal figlio di Khalifa Haftar, Saddam, avevano puntato sull’oasi di Ghadames: la sua azione di conquista dei territori a sud di Tripoli continua?
Questi sono gli errori che commette quando diventa protagonista: nella storia recente ha sempre commesso un passo falso quando sembrava prossimo a raggiungere i suoi obiettivi. Nel 2019, quando controllava due terzi della Libia, piuttosto che aspettare l’evolversi della situazione provò il colpo di mano militare per conquistare Tripoli e venne sconfitto. Ora rischia di succedere la stessa cosa: nel momento in cui poteva massimizzare i vantaggi che gli derivavano dall’essere conteso da Mosca e Washington, ha scelto di presentarsi come un prestanome dei russi, di fare la parte di esecutore delle loro volontà. Tutto ciò potrebbe pregiudicare anche la sua operazione su Ghadames.
Per quale motivo?
Fino a quando teneva aperta la porta agli americani, da Washington non c’era tutto l’interesse ad aiutare Tripoli, ma adesso che Haftar si è messo dalla parte dei russi, da Ankara arriveranno aiuti a Dbeibah affinché Ghadames e tutte le altre oasi della parte centrale della Libia possano rimanere in mano ad altri miliziani. Le sue iniziative su Ghadames, infatti, al momento sembrano essersi arenate.
Che tipo di reazione dobbiamo aspettarci da questa scelta di campo di Haftar? L’Occidente, per contrastare la Russia, dovrà chiedere aiuto a Erdogan, che da tempo sostiene fattivamente il governo di Dbeibah?
A livello globale le alleanze sono molto flessibili, precarie, limitate a un singolo dossier. Può capitare di vedere Erdogan come spina nel fianco della NATO e, al tempo stesso, principale alleato in Libia. Anche Russia e Turchia sono attori che dialogano in Siria, ma con posizioni divergenti riguardo alla vicenda libica. Non mi sorprenderebbe un Occidente che guardi con sospetto alla Turchia in generale, ma con favore alla sua presenza a Tripoli.
L’Occidente però sembra assente. Lo è davvero?
Nella migliore delle ipotesi appare guardingo, nella peggiore sorpreso, non in grado di mettere in campo una risposta.
Intanto resta aperta la vicenda del governatore della Banca centrale, che Dbeibah sta cercando di cambiare per avere più libertà di azione. Il caos regna sovrano?
In Libia, in questo momento, è in atto un tutti contro tutti, specialmente a Tripoli: Dbeibah ha impostato la sua azione di governo in un modo molto clientelare, per tenersi buone le milizie usa i proventi del petrolio dando soldi a tutti. Un po’ come faceva Gheddafi. La Banca centrale gli ha detto che non lo può fare in eterno, che le risorse non sono infinite. Da qui nasce, appunto, il tutti contro tutti, con le milizie che sperano che Dbeibah continui la politica di sempre.
Una confusione alimentata anche dalla vicenda Bidja?
È presto per tracciare il profilo dell’episodio: potrebbe essere dovuto a un intrigo internazionale, visto che era molto vicino alla Turchia, o a un regolamento interno alle milizie o a Zawiya, la sua città.
In questo contesto, l’Italia di cosa si deve preoccupare?
Non può fare altro che osservare dalla finestra, ma non nel senso che deve assumere una posizione passiva. Deve cercare di sbrogliare la matassa appoggiandosi ai suoi attori politici ed economici sul campo. È l’unico Paese che ha il know-how in grado di riportare un certo equilibrio nel Paese. In questo momento, però, sbagliare una singola mossa può pregiudicare quelle future: meglio attendere e vedere come si evolve la situazione. L’Italia deve salvare il suo, ma anche attivarsi perché i suoi alleati tornino sul dossier libico.
(Paolo Rossetti)
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