La Libia è uno di quegli Stati costruiti a tavolino; anzi, i confini della Libia moderna li abbiamo tracciati, col righello, noi italiani. Per farlo abbiamo accozzato grossolanamente le tre grandi regioni della Tripolitania, del Fezzan e della Cirenaica, con i loro abitanti. Tenetelo a mente perché questo mix forzato è alla base di buona parte dei problemi che hanno fatto detonare la situazione politica libica dopo la morte del dittatore Gheddafi, dopo l’improvvido intervento occidentale scatenato dalla Francia ed a cui dovette partecipare in modo riluttante anche il governo Berlusconi in carica allora.
Possiamo dire che la destabilizzazione della Libia è stato il primo errore francese in Africa in questo secolo, ed anche l’inizio della fine della sua influenza continentale. La Libia era l’unica vera zona di influenza italiana e grazie ad Enrico Mattei l’ENI gestiva l’estrazione di tutti gli idrocarburi del territorio, e nominalmente ma sotto controllo inglese e francese la effettua ancora. La zona di influenza italiana si è trasformata in uno strapuntino geopolitico fornito dalla Turchia e dalla Russia. Oggi la Libia è divisa su tutto e l’unico collante che faticosamente lega le sue componenti e la condivisione dei proventi petroliferi attuata dalla Banca centrale libica nella figura del suo presidente Sadik Al Kabir nominato dal governo di Tripoli riconosciuto a livello internazionale, retto da Abdulhamid Dbeibah ma gradito anche al governo di Bengasi di Khalifa Haftar, non riconosciuto ma spalleggiato da russi e turchi.
Da un po’ di tempo accade però che il banchiere centrale sia in contrasto col governo di Tripoli per motivi talmente poco trasparenti da sembrare un casus belli; tanto che il primo ministro Dbeibah ha cercato di rimuoverlo. Il banchiere ha rifiutato di dimettersi asserendo di essere agli ordini di Haftar. Denunciando il comportamento scorretto del governo di Tripoli a difesa del banchiere e perdurando i contrasti, ieri il generale Haftar ha annunciato che avrebbe bloccato l’estrazione del greggio nei pozzi sotto il suo controllo nell’Est del Paese, ma anche in quelli dell’Ovest, e pare che il blocco stia funzionando.
Inoltre nei giorni scorsi i cinesi, approfittando non tanto della crisi sempre più profonda che attraversa la coesistenza politica dei vari attori politici e militari libici, quanto dell’eterna fame di denaro dei governanti locali, ha chiuso un accordo per l’implementazione, insieme a partner libici, di un grosso cementificio nella città di Lebda, l’antica Leptis Magna romana, sita tra Misurata e Tripoli.
Ma qual è il nesso e il significato dei due avvenimenti? Basta seguire il denaro. Nonostante la crisi mediorientale, il prezzo del greggio è in calo. Stranamente lo stiamo vedendo anche alla pompa. Le grandi raffinerie cinesi sono in crisi per il calo della domanda dovuto alla stagnazione economica che sta attraversando la Cina, che addirittura ha smesso di pubblicare le statistiche della disoccupazione giovanile per la loro negatività, ed ha imposto nuove pesanti norme per frenare il debito locale, da sempre punto debole dell’economia cinese esploso con il Covid ed ancora indomabile.
L’economia di guerra russa ha un tallone di Achille, la dipendenza in larga parte dall’industria estrattiva, ed è minacciata dal calo del prezzo degli idrocarburi, che per ora vende a prezzo da embargo direttamente alla Cina, all’India e con varie triangolazioni anche al resto del mondo. Il flusso del gas russo all’Europa, molto aumentato nel 2024, attraverso l’Ucraina, finirà – per contratto con Gazprom – a dicembre 2024 e visto il controllo ucraino sul gasdotto di Suzdha nel Kursh magari salterà anche prima.
Va bene, ma che c’entra, direte voi, il cemento con il petrolio?
La Cina produce il 50% del cemento mondiale. Aprire un grande cementificio sulle coste libiche darebbe a Pechino una testa di ponte non indifferente sul Mediterraneo con la possibilità di influenzare i prezzi, e darebbe alle élites libiche un’entrata supplementare a ristoro delle perdite da mancata estrazione del petrolio. Lo stop al petrolio del più grande produttore africano darebbe una bella scossa ai prezzi del greggio e farebbe un ottimo servizio al Cremlino.
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