Violenti scontri armati a Tripoli nelle ultime ore, fra i due maggiori gruppi armati della Libia occidentale, l’Autorità di sostegno alla stabilità, istituita dal precedente governo di Tripoli, e le Forze speciali di deterrenza, un’unità di polizia militare islamista. Gli scontri si sono tenuti nei pressi della sede del governo e la motivazione di quanto accaduto si pensa sia dovuta al tentativo di prendere il controllo delle nuove sedi istituzionali nel corso del processo di unificazione che dovrebbe giungere al vertice il 24 dicembre con le elezioni nazionali. Ma certamente una situazione del genere mette a rischio anche le elezioni stesse. Una cosa è certa: come ci ha detto il Generale Carlo Jean, esperto di strategia, docente e opinionista, “l’attuale governo di transizione non è assolutamente in grado di tenere il controllo militare della zona occidentale della Libia e tantomeno di quella orientale dove Haftar si sottrae del tutto a questo controllo”. La tenuta del paese, ci ha detto ancora, “non la darà comunque neanche la vittoria elettorale di un partito o dell’altro, se non si risolverà la ripartizione delle risorse petrolifere e di gas grazie alle quali la Libia sopravvive e che sono alla base di questi scontri continui tra milizie e gruppi tribali”.
Generale Jean, qual è il significato degli scontri in atto, in piena città e nei pressi delle istituzioni governative?
Dicono chiaramente l’incapacità di governare da parte del governo transitorio. Si tratta poi di vedere adesso cosa farà la Turchia, che controlla le milizie della Fratellanza musulmana che provengono da Misurata e che sono quelle più agguerrite. La Turchia interverrà. Il governo ha ben poche possibilità di intervenire se non con esortazioni sulla parola.
Tutto questo perché non esiste una forza militare di unità nazionale, comandata dal governo transitorio?
No, non esiste. C’è poi anche Haftar che si sottrae a ogni controllo da parte del governo transitorio di unità nazionale.
Anche a Bengasi però ci sono milizie che provocano incidenti, rapimenti, uccisioni. Secondo lei tutti questi gruppi mirano a far saltare le elezioni del 24 dicembre per mantenere la Libia nel caos o ad acquisire una migliore posizione quando finalmente verrà proclamata l’unità nazionale?
Sicuramente maggiori poteri nelle istituzioni future, guadagnarsi cioè un ruolo all’interno dell’apparato militare statale e delle istituzioni economiche in via di unificazione. Soprattutto per quanto riguarda la ripartizione della rete petrolifera. Il problema è quello, la Libia vive della vendita del petrolio e del gas, la ripartizione fra le varie fazioni finisce per essere un aspetto fondamentale e fino a quando non c’è una decisione forte al riguardo non c’è possibilità di una vera stabilità, indipendentemente dalle elezioni. È un problema di fondo, non di vittoria di un partito o dell’altro.
L’unico che era riuscito a mantenere unite le numerose fazioni e tribù era stato Gheddafi. Come?
Con i soldi, ma soprattutto perché aveva il controllo delle forze armate e della polizia e anche degli anziani a guida delle varie tribù. La situazione oggi è resa difficile anche dal fatto che durante il regime di Gheddafi si è assistito a una grande urbanizzazione, con lo spostamento nelle città di molti appartenenti alle tribù. In questo modo gli anziani hanno perso gran parte del loro potere, per cui adesso questo potere è in mano ai signori della guerra e alle potenze esterne che conducono una guerra per procura, Turchia, Russia, Emirati ed Egitto.
È impensabile mandare una forza di interdizione dell’Onu fino alle elezioni come fatto ai tempi della ex Jugoslavia?
Sì, è impensabile. Non c’è una linea di separazione, le milizie sono una mischiata all’altra. Spesso nella stessa città ci sono milizie di una parte, altre della Fratellanza musulmana, altre che sono più jihadiste di altre, è un caos. È un processo molto lento da cui non si vede come si possa uscire e come si possa fare qualcosa. Non c’è ovviamente alcuna intenzione di mandare una forza di spedizione che ri-colonizzi la Libia fino a quando non si metteranno in piedi strutture che reggano da sole il paese.
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